03 gennaio 2021

L'Ufficio Divino dal punto di vista della teologia morale e del diritto canonico: obbligo, forma, e modo di recitarlo



Riassumo, commentandolo e annotandolo, il trattato sull'Ufficio Divino che si trova nel Manuale Theologiae Moralis del Padre Dominik Maria Prümmer OP (Herder 1960), tomo II, pag. 304-321.

Esso è inserito nel capitolo che tratta della virtù di religione intesa come parte potenziale della virtù cardinale di giustizia e inquadrata come concernente i primi tre precetti del Decalogo: per coloro che ne hanno l'obbligo l'Ufficio è infatti un atto di giustizia, dare a Dio quel che è di Dio. È una questione oggi estremamente sottovalutata: per i Sacerdoti impregnati di eresia neomodernista l'Ufficio è un surplus, un giogo loro imposto ma estrinseco a quella che credono erroneamente essere la loro vocazione (puramente umanitaria e orizzontale), e vi attribuiscono un'obbligatorietà estremamente scarsa se non del tutto nulla. Ma le cose in realtà stanno in maniera assolutamente diversa: la recita integrale e corretta dell'Ufficio è, come vedremo, un preciso obbligo non solo morale ma anche giuridico per coloro che ne hanno l'onere, fa parte loro dei doveri di stato, e il suo mancato assolvimento, anche solo parziale, è carico di gravissime conseguenze morali.

I riferimenti canonici sono ovviamente al Codice del 1917. Per comodità metto le note alla fine di ciascun paragrafo, in modo che non si debba fastidiosamente andare di continuo su e giù per la pagina.

 

I. INTRODUZIONE

I.1 Etimologia

Il P. Prümmer incomincia con l'etimologia e i nomi con cui l'Ufficio è chiamato sin dai tempi antichi: kanon (canone, in greco regola, norma), sinaxis (sinassi), collecta (raccolta di preghiere), agenda (cose da fare), divina salmodia, cursus, Ufficio Divino o Ecclesiastico, preci orarie o canoniche, opus Dei (opera divina), pensum servitudinis (dovere di servitù, cioè verso Dio), Messa vespertina, breviarium (compendio delle preghiere che i Chierici devono recitare e delle rubriche da osservare nell'Ufficio, nome che è rimasto come titolo del libro liturgico che contiene l'Ufficio, poiché essendo anticamente molto più lungo e raccolto in libri assai voluminosi, nel tempo è stato progressivamente abbreviato e contenuto in libri di minori dimensioni).


I.2. Le parti dell'Ufficio Divino

Secondo la presente disciplina del Rito Romano all'Ufficio spettano sette Ore Canoniche:

  • Il Mattutino con le Lodi, tradizionalmente considerate come un'unica Ora
  • Prima
  • Terza
  • Sesta
  • Nona
  • Vespri
  • Compieta

Questa divisione rispecchia quel versetto del Salmo 118 dice <<Septies in die laudes dixi tibi>>, mentre per alcuni autori esse riflettono i sette momenti della Passione di Nostro Signore.

Il Mattutino è l'Ora notturna, le altre sono Ore diurne1. In un senso molto più ampio tutto l'Ufficio è chiamato diurno, in quanto dev'essere recitato giornalmente.

Il P. Prümmer, amante della precisione, aggiunge qui alcuni dettagli:

  • All'Ufficio quotidiano si aggiunge quello dei Defunti che il 2 Novembre (o il 3 quando quello cade in Domenica) lo sostituisce2.
  • Nella Festa di San Marco e nei tre giorni delle Rogazioni si devono recitare le Litanie dei Santi anche fuori dal coro, e non possono venire anticipate.

  • Non esiste (più3) nessun obbligo di recitare il Piccolo Ufficio della Beata Vergine, l'Ufficio dei Defunti fuori dal 2 Novembre, i Salmi Graduali e i Salmi Penitenziali con le Litanie; le Orazioni Aperi Domine e Sacrosanctae non appartengono all'integrità dell'Ufficio.

  • Coloro che usufruiscono di un rito particolare devono attenersi ai loro statuti circa le parti pertinenti all'Ufficio.


1 Il P. Prümmer include anche le Lodi come Ora notturna in quanto anticamente esse venivano cantate di notte subito dopo il Mattutino; tuttavia questa prassi non è mai stata unanime come si vedrà sotto, ed è anche un dato di fatto che le Lodi siano contenute nell'Antifonale per le Ore diurne o Diurnale, mentre il Mattutino si trova nell'Antifonale per le Ore notturne o Notturnale, quindi mi sembra questa la suddivisione più corretta. Come si vedrà, le Lodi possono essere anticipate insieme al Mattutino, la loro connessione rimane molto stretta anche se nei secoli sono state sempre più considerate come due Ore distinte.

2 In realtà questa è una grossa forzatura: fino al 1911 il 2 Novembre si recitava l'Ufficio del secondo giorno dell'Ottava di Ognissanti cui si aggiungeva l'Ufficio dei Defunti comprendente solo le Ore Maggiori (Vespri, Mattutino e Lodi). L'invenzione di un Ufficio dei morti completo per la Commemorazione dei fedeli defunti ha snaturato la liturgia di quel giorno.

3 Anche questo è un frutto della rivoluzione liturgica del 1911: prima ne sussisteva l'obbligo, in giorni specifici, per coloro che erano astretti al coro.


II. OBBLIGATORIETÀ DELL'UFFICIO

II.1 L'obbligo in genere

Sono gravemente4 obbligati di diritto comune alla recita dell'Ufficio Divino:

  • Tutti Chierici costituiti negli Ordini Maggiori o Sacri (cioè a partire dal Suddiaconato)
  • Tutti i beneficiari5, anche se non costituiti negli Ordini Maggiori
  • Tutti i Capitoli dei Canonici

  • Tutti i Religiosi di entrambi i sessi astretti al coro, ma soltanto dopo aver emesso la Professione solenne.

Gli autori insegnano che l'obbligo di recitare l'Ufficio Divino è grave di suo genere: chi dunque, senza causa scusante, omette tutto l'Ufficio o una sua parte considerevole (notabile) pecca gravemente. Una parte considerevole dell'Ufficio è un'Ora canonica o una quantità ad essa equivalente. Dunque, per esempio, chi omette un'Ora minore come Terza o Compieta, oppure tante parti di diverse Ore Canoniche quante ne bastano per ottenere, sommandole, la quantità di Ufficio corrispondente (sempre ad esempio) a Terza o Compieta, pecca mortalmente.

Il P. Prümmer aggiunge che la ragione di tale severità è che, principalmente in questa materia, vale il principio <<Qui in parvo negligens est, paulatim decidet>> (chi è negligente nelle cose piccole poco a poco cade). Infatti il Chierico che per leggerezza omette qualche volta anche un'Ora minore dell'Ufficio, facilmente ne tralascerà anche una Maggiore e poco a poco cadrà in altri peccati.

Chi omette colpevolmente l'Ufficio intero di un giorno, commette un solo peccato mortale in quanto viola un solo precetto con un atto di volontà. Se invece sono più atti di volontà distinti, allora sono più peccati.


4 Graviter o sub gravi sono termini che si incontrano spesso sia in questa trattazione che, in generale, nei manuali di teologia morale: viene inteso con essi il peccato grave, cioè mortale. Qualcuno gravemente obbligato a qualcosa è qualcuno che commette peccato mortale se non adempie all'obbligo. È un concetto che bisogna ricordarsi di tenere a mente perché tornerà di continuo.

5 Ne parlo per completezza, ma i benefici essendo stati abrogati dal Vaticano II, dubito fortemente che esistano ancora dei Chierici beneficiari. Siccome è un termine che comunque tornerà anch'esso più volte, specifico che i "benefici" erano delle rendite o fonti di rendita (come proprietà immobiliari o terriere) assegnate ai Chierici per il loro sostentamento, di pertinenza alle chiese cui erano ascritti coloro che dovevano entrare negli Ordini Sacri o quelli che ricevevano un ufficio ecclesiastico (stavolta nel senso di incarico). Il Pontificale Romanum proibisce che sia conferito il Suddiaconato a coloro che non dispongono di sostentamento, o a titolo del beneficio di una data chiesa (<<ad titulum Ecclesiae N.>>), o a titolo del proprio patrimonio (<<ad titulum patrimonii sui>>, è un cumulo di beni  o una pensione giuridicamente competenti all'ordinando), oppure a titolo della povertà (<<ad titulum paupertatis>> per coloro che ne fanno voto). Inoltre chi esercitava il diritto di patronato ad esempio edificando una chiesa o dotandola di beni e proprietà, sceglieva i Chierici al servizio di essa (molto spesso membri della famiglia del patrono), i quali erano tenuti particolarmente all'obbligo dell'Ufficio anche se non avevano ancora ricevuto gli Ordini Sacri. Tra parentesi, ciò ha fatto sì che per secoli e secoli un numero incalcolabile di uomini entrassero negli Ordini Minori per appropriarsi dei benefici ma senza contrarre gli altri obblighi degli Ordini Maggiori (particolarmente la castità), di conseguenza i beni ecclesiastici erano sperperati nel sostentamento di gente priva di anche un solo barlume di vocazione. Il Codice di Diritto Canonico del 1917 ha tagliato netto impedendo l'Ordinazione di chi non desiderasse accedere al Sacerdozio, cosa che per contraccolpo ha svuotato la Chiesa dei Chierici minoristi, Suddiaconi o Diaconi che restavano tali a vita (i quali, e lo ricordo a scanso di funesti equivoci oggi purtroppo molto alla moda, erano sempre, solo e rigorosamente celibi perché lo stato clericale è del tutto incompatibile col matrimonio: se un Chierico minoreista si sposasse perderebbe automaticamente lo stato clericale, se un Chierico in sacris commettesse questa scelleratezza verrebbe deposto e il Matrimonio sarebbe del tutto invalido).


II.2 L'obbligo dei Chierici negli Ordini Sacri

Quest'obbligo che esiste già da secoli è espresso nel Can. 135 del Codice di Diritto Canonico: <<Tutti i Chierici costituiti negli Ordini Maggiori eccetto quelli di cui ai Can. 213 e 214 (cioè quelli ridotti allo stato laicale) sono tenuti per obbligo a recitare quotidianamente e integralmente le Ore Canoniche secondo i propri libri liturgici approvati>>.

Tutti i Chierici costituiti negli Ordini Sacri, cioè anche quelli scomunicati, sospesi o degradati6, sono tenuti all'Ufficio: infatti se i Chierici puniti per i loro crimini fossero liberati dall'obbligo dell'Ufficio, otterrebbero un vantaggio dalla loro colpa, cosa che sarebbe incongrua.

I Chierici contraggono l'obbligo di recitare l'Ufficio a partire dall'ora della loro Ordinazione al Suddiaconato, e l'Ora Canonica da cui devono iniziare è quella che meglio corrisponde all'orario dell'avvenuta Ordinazione. Per esempio coloro che sono stati ordinati prima delle 9.00 del mattino non sono tenuti a recitare né Mattutino né Lodi né Prima del giorno della loro Ordinazione, ma (pur potendo anche recitare quelle Ore se lo desiderano) devono cominciare almeno da Terza; se invece sono stati ordinati dopo le 9.00 incominciano da Sesta. Se hanno già recitato l'Ora Canonica in questione prima dell'Ordinazione, allora sono tenuti a ripeterla dopo, perché in quel non potevano soddisfare a un precetto che non avevano ancora contratto (e non erano ministri deputati per pregare a nome della Chiesa). Il P. Prümmer consiglia tuttavia di cominciare l'Ufficio da Suddiaconi recitando Prima, per rimuovere ogni dubbio possibile (e aggiungo io, siccome oggi persino la maggior parte dei Vescovi più ligi e fedeli alla Tradizione ignora sistematicamente le direttive del Pontificale, casomai ci fosse un Vescovo abbastanza folle da ordinare dei Suddiaconi nella Messa della notte di Natale, essi dovrebbero cominciare l'obbligo dell'Ufficio dal Mattutino... non si sa mai, alla "creatività liturgica" purtroppo non c'è mai fine).


6 Suppongo si tratti di quelli che sono stati degradati da un Ordine ad un altro inferiore, perché se fossero stati degradati fino in fondo, cioè oltre la clericatura, ricadrebbero nell'eccezione del citato Can. 213 che parla dei Chierici laicizzati (<<qui e clericali statu ad laicalem legitime redacti aut regressi sunt>>); cosa che più avanti viene sottolineata dallo stesso P. Prümmer (<<Quando vero Clericus maiorista legitime redactus est ad statum laicalem, cessat obligatio divini Officii recitandi>>).


II.3 L'obbligo dei Chierici beneficiari

A tutti i beneficiari, anche non costituiti negli Ordini Sacri, incombe il grave obbligo di recitare l'Ufficio Divino a partire dall'ora in cui hanno ricevuto il possesso del beneficio.

Il beneficiario che, senza esserne ritenuto da nessun legittimo impedimento, non soddisfa all'obbligo di recitare le Ore Canoniche, non può ricevere la parte di guadagno relativa all'Ufficio omesso, quindi deve darlo alla fabbrica della chiesa (o fabbriceria, l'ente giuridico che si occupa della sua gestione), o al seminario diocesano, o ai poveri: questa restituzione è obbligatoria per il fatto stesso, ad esempio quindi anche prima che sia comminata dalla sentenza del giudice. I frutti del beneficio non sono ovviamente il prezzo per l'Ufficio recitato - cosa che sarebbe simonia - ma sono concessi alla condizione che il beneficiario reciti l'Ufficio. Così come nessuno riceve il Suddiaconato se prima non promette di conservare la castità, così nessuno riceve il beneficio se prima non promette di recitare quotidianamente l'Ufficio. Se la parte di Ufficio omessa non costituisce materia grave, ad esempio una parte non sufficiente a costituire la quantità equivalente ad un'Ora minore, all'ora l'obbligo della restituzione non è grave, questa è l'opinione comune e più probabile.

Però il beneficiario che non recita l'Ufficio per una legittima causa scusante, ad esempio se soffre troppo per un'infermità, può ricevere legittimamente i frutti del beneficio.

Non mi soffermo sulla quantità della restituzione per aver negletto l'Ufficio, e sulle decisioni di San Pio V in merito, perché ripeto: non credo che oggi esistano più Chierici beneficiari; chi fosse interessato all'argomento lo trova alle pag. 308 e 309 del Manuale Theologiae Moralis.


II.4 L'obbligo dei Canonici

Il P. Prümmer vi fa solo un breve accenno perché l'argomento concerne maggiormente il diritto canonico, e spesso è da determinare accuratamente dagli statuti particolari e dalle legittime consuetudini dei Capitoli. Tutti i Capitoli di Canonici delle chiese cattedrali e collegiali sono tenuti sub gravi a cantare coralmente tutto l'Ufficio Divino7, a meno che non abbiano una speciale licenza della Santa Sede. Il Vescovo non può in alcun modo dispensarli di sua propria autorità da questo grave obbligo. I Canonici che per propria colpa e senza legittima licenza si assentano dall'Ufficio corale, peccano mortalmente o lievemente a seconda della quantità di materia, e ciò malgrado recitino l'Ufficio privatamente; inoltre sono anche tenuti a restituire i frutti beneficiali ricevuti (vedesi sopra). Secondo l'opinione più probabile l'assenza colpevole e continua per cinque giorni è materia grave (e su quale sia la materia grave, l'autore rinvia al suo Manuale Iuris Canonici alla questione 143).

I Canonici non sono tenuti solo ad assistere materialmente al coro, ma devono anche salmeggiare e cantare devotamente, altrimenti perdono non solo i frutti dei benefici, ma anche le cosiddette "distribuzioni quotidiane"8.

Integro un po' questo argomento con il menzionato Manuale Iuris Canonici (Herder & Co., 1927). Il P. Prümmer, che come era comune ai tempi cattolici, era sia teologo moralista che canonista, le due cose essendo per loro natura molto più interconnesse di quanto non lo sembrino da quando la nouvelle théologie e l'ideologia personalista hanno pervertito la morale e corroso il diritto, pone l'obbligo tra i doveri che i Canonici hanno verso la Chiesa. Esso comprende sia l'Ufficio Divino che la celebrazione cum cantu della Messa Conventuale. Le cause legittimamente scusanti dall'obbligo del coro sono di due generi: alcune scusano dal peccato, ma il Canonico assente non percepisce le "distribuzioni quotidiane", altre invece scusano in maniera così perfetta che il Canonico assente sia per finzione giuridica considerato come presente in coro e dunque riceve le "distribuzioni quotidiane", a meno che tuttavia dalle lettere di fondazione tali distribuzioni siano <<stricte inter physice praesentes>> (strettamente tra coloro che sono presenti fisicamente).

L'elenco delle cause scusanti essendo molto lungo, ed esulando dai fini di questa trattazione, rinvio gli interessati al Manuale Iuris Canonici pag. 192-194.


7 Sono estremamente curioso di sapere in quale preciso momento e con quale decreto, dal conciliabolo Vaticano II in poi, questo obbligo sia venuto a mancare; fatto sta che oggi i Canonici tutto fanno tranne che cantare coralmente l'Ufficio. Comunque qualcosa mi fa presumere che, malgrado l'insegnamento del P. Prümmer, la disciplina stesse collassando già da molto tempo: con la riforma di San Pio X (1911) sono dovuti essere ri-editati quasi tutti i libri liturgici, e nessuno si sognò di preparare il nuovo Notturnale Romanum, come ho detto il libro contenente il canto del Mattutino: segno che ormai praticamente nessuno lo cantava più, salvo coloro che usufruivano di riti propri, come ad esempio i monaci. Il Notturnale Romanum aggiornato alla Costituzione Divino Afflatu è stato infine edito per la buona volontà di un benemerito privato nel 2002, ovvero con 90 anni di ritardo.

8 Queste "distribuzioni quotidiane" (distributiones cotidianae) sono gli stipendi che sono attribuiti ai Canonici per l'assistenza all'Ufficio Divino, cfr. S. Sipos SJ, Enchiridion Iuris Canonici,  Herder 1960, pag. 233; evidentemente sono distinte dai "frutti dei benefici" (fructus beneficiales) che suppongo derivino dai benefici loro assegnati per il fatto stesso di aver ricevuto il canonicato (anche se il loro ottenimento è sottoposto all'adempimento dei loro doveri poiché in caso contrario non possono riceverlo come si è visto sopra). Sull'obbligo dell'Ufficio dei Canonici il P. Sipos specifica, a pag. 238, che <<Tutti e singoli coloro che ottengono il beneficio del coro, sono tenuti nello stesso coro (non a casa, non in sacrestia a meno che non si tratti dei mesi più freddi dell'anno), essi stessi (non tramite sostituti, anche se si possono avere dei cantori che aiutino), tutti i giorni (non a giorni alterni o ogni tre giorni), nello stallo ad essi designati e con l'abito corale, ad assolvere i Divini Uffici (non per semplice e materiale assistenza al coro, ma integralmente, distintamente, reverentemente e devotamente salmeggiando e cantando), a meno che non sia concesso dalla Sede Apostolica o dalle leggi di fondazione un servizio a turno (o che dev'essere assolto da tutto il Capitolo ma solo in determinati tempi). Il Canonico che rifiuta nell'Ufficio corale di tenere lo stallo che gli è stato legittimamente ordinato dal Vescovo, perde il diritto di percepire le distribuzioni corali>>. Tuttavia talmente importante è l'obbligo dei Canonici, che le pene per le violazioni dei loro doveri anticamente erano estremamente severe: ricordo di aver letto anni fa un documento con cui Pio IX revocava la pena della scomunica per i Canonici che (anche una sola volta) accedevano al coro per cantare l'Ufficio ma senza indossare l'abito corale. Vorrei poterlo citare ma non ricordo nemmeno la data, potrebbe essere anche anteriore all'istituzione degli Acta Sanctae Sedis e dunque quasi irreperibile.


II.5 Obbligo dei Religiosi aventi emesso professione solenne

Ai Religiosi di ambo i sessi incombe il grave obbligo di recitare l'Ufficio, che non proviene dai voti semplici ma dalla sola professione solenne. Bisogna distinguere l'obbligo del coro dall'obbligo di recitare privatamente l'Ufficio Divino. In alcuni Ordini Religiosi i professi semplici sono obbligati all'Ufficio corale9, ma se non hanno gli Ordini Sacri non possono essere tenuti alla recita privata. Inoltre non sono obbligati al coro i fratelli conversi o le sorelle converse, nemmeno dopo la professione solenne, in quanto sono deputati ad altri incarichi; tuttavia possono essere obbligati sotto peccato ad altre preghiere previste per loro. Tutto ciò è regolato dalle costituzioni o statuti delle singole Congregazioni.

Come per i Chierici in sacris e i beneficiari, anche per i Canonici e i Religiosi spetta l'obbligo di cominciare l'Ufficio dall'Ora Canonica corrispondente alla nomina canonicale o alla professione solenne.


9 In realtà esistono tre modi di recitare l'Ufficio: quello privato, quello propriamente corale che è esclusivo a coloro che hanno l'obbligo del coro (Canonici, Religiosi professi solenni), e quello comune che è di coloro che cantano l'Ufficio con le cerimonie del coro, ma senza averne l'obbligo.


II.6 Le cause scusanti dall'obbligo dell'Ufficio

Questo capitolo è posto a conclusione del trattato sull'Ufficio, tuttavia a me sembra più logico riportarlo qui alla fine dell'argomentazione sulla sua obbligatorietà, dato che le due cose sono strettamente connesse.

Si riconoscono comunemente tre generi di cause scusanti. Le prime due scusano in virtù dei principi <<ad impossibile nemo tenetur>> (nessuno è tenuto a ciò che è impossibile) e <<lex positiva non obbliga cum magno incommodo>> (la legge positiva non obbliga se il suo adempimento arreca grave danno); la terza invece scusa poiché il precetto di recitare l'Ufficio non proviene dalla legge divina naturale o rivelata, ma è prescritto dalla sola legge ecclesiastica: e l'obbligo della legge ecclesiastica cessa con la legittima dispensa. Ecco queste cause:

  • Impotenza fisica. È un ostacolo fisico che impedisce la recita dell'Ufficio. Questi ostacoli sono: la mancanza del Breviario, se non lo si può recitare a memoria; la cecità, una grave malattia etc. Chi non può (oggettivamente) recitare tutto l'Ufficio, ma può recitarne una parte notevole come un'Ora minore, è tenuto sub gravi a recitare questa parte. Chi invece non può recitare nemmeno questo, non è tenuto a nulla. Chi non può recitare l'Ufficio da solo è tenuto a ricorrere a qualcuno che lo assista a titolo gratuito, se si può fare senza grave incomodo: chi deve adempiere un precetto deve poterlo fare coi mezzi ordinari. Gli autori non concordano se il beneficiario che non può recitare l'Ufficio da solo sia tenuto a pagare chi l'assiste coi frutti del beneficio: nel dubbio è meglio chiedere una dispensa o una soluzione all'autorità competente. Chi è legittimamente scusato dalla recita dell'Ufficio per impotenza fisica (o morale, vedesi sotto), non è tenuto a sostituirlo con altre preghiere poiché tale commutazione non è prescritta da nessuna parte; tuttavia se può è un bene che lo faccia perché così mostra la sua buona volontà di soddisfare il precetto di pregare così specialmente imposto dalla Chiesa.
  • Impotenza morale. È un grave svantaggio o danno che può sorgere dalla recita dell'Ufficio. Esso può provenire:
    • Dalla malattia. Per questa ragione sono scusati dall'Ufficio coloro che non solo soffrono una malattia grave, ma quelli che non possono recitarlo senza grave danno o pericolo probabile di tale danno. Di conseguenza sono sufficientemente scusati quelli che prudentemente temono o credono che ne possa derivare una pesantezza di testa (gravedinem capitis) o indigestione (cruditatem stomachi) o forte stanchezza (virium lassitudinem) o che la febbre possa esserne protratta (febrim tardius esse remittendam); S. Alfonso pensa che questo possa valere anche se l'infermo può comunque leggere qualche altro libro per rilassarsi, infatti simili letture leggere10 possono piuttosto sollevare l'infermo, mentre l'Ufficio abitualmente provoca abbastanza stanchezza. Chi dubita se un'infermità scusi sufficientemente dalla recita dell'Ufficio può sottostare al giudizio del superiore, del confessore, del medico, o di un altro uomo prudente.
    • Da gravi lavori necessari. È certo e ammesso da tutti che un'occupazione grave, assunta talvolta dal proprio dovere o dalla carità, possa costituire un impedimento morale alla recita dell'Ufficio. Come regola generale si può avere: l'occupazione scusa dalla recita dell'Ufficio, quando è comandata da un precetto maggiore rispetto a quello che ingiunge l'Ufficio, e non può essere rimandata in un altro momento (tunc occupatio excusat a recitatione Officii, quando praecipitur a maiore praecepto, quam illud est, quod iniungit recitationem Officii; neque in alid tempus differri potest). Questa regola si fonda su un principio unanime: in conflitto tra due leggi prevale quella più importante (in conflictu duarum legum praevalet lex potior). Qui il P. Prümmer suggerisce alcune applicazioni pratiche:
      • Chi deve recitare l'Ufficio ed è chiamato repentinamente ad amministrare i Sacramenti a un moribondo, deve andare a dare i Sacramenti anche se non potrà più recitare l'Ufficio. In questo caso infatti il precetto della carità prevale su quello dell'Ufficio.
      • Chi è occupato ad ascoltare delle confessioni che non possono essere rimandate senza grave danno (es. in tempo di missioni), e non può recitare l'Ufficio se non a notte fonda o con enorme affaticamento, è legittimamente scusato dall'Ufficio. In questo caso sono tre i precetti coinvolti: quello della carità (la salute delle anime), quello di adempiere l'incarico di confessore, e quello di non rovinare la salute, e prevalgono sul precetto ecclesiastico dell'Ufficio. I teologi moralisti discutono su quanto debbano durare le confessioni perché ci si possa esimere dall'Ufficio: alcuni dicono sette ore, altri dieci, la soluzione pratica dipende dalla salute del confessore: chi dopo sette ore di confessioni è talmente stanco da non poter recitare le Ore Canoniche senza ulteriore grande affaticamento è legittimamente scusato; se il confessore è talmente robusto che dopo dieci ore di confessioni può facilmente recitare l'Ufficio, non è scusato se lo omette. In pratica è meglio rimettere la questione al legittimo superiore che o concede la dispensa o decide cosa sia da farsi.
      • Chi ha bisogno di tutto il tempo per preparare una predicazione che non può essere omessa o rimandata senza grave danno, chi deve compiere per tutto il giorno un viaggio necessario, e non possono recitare l'Ufficio, sono scusati. La ragione è che anche in questi casi la legge dell'Ufficio deve cedere a una legge superiore.
  • Legittima dispensa. Essa può sospendere o persino rimuovere del tutto l'obbligo dell'Ufficio, che come è stato già detto, è di precetto ecclesiastico. E siccome è una legge ecclesiastica universale e gravemente obbligante, solo il Sommo Pontefice può dispensarne di propria autorità. Tuttavia in casi urgenti i Vescovi e i Superiori regolari possono, per giusta causa, dispensare i propri sudditi temporaneamente. Oggi in forza di speciali facoltà i Vescovi non raramente possono concedere ai Chierici loro sudditi che al posto dell'Ufficio possano recitare il Rosario o altre preghiere. Clemente VII ha concesso ai soli Superiori regolari11 di poter dispensare dalla recita dell'Ufficio i propri sudditi occupati nella predicazione della parola di Dio, o nell'ascoltare le confessioni o nell'insegnamento della Sacra Teologia e del Diritto Canonico, oppure trattenuti nello studio o per la salute delle anime. Al posto dell'Ufficio il Superiore gli deve comandare sei o sette Salmi, sette Pater e per due volte il Simbolo degli Apostoli.


10 Il testo dice letteralmente <<quod adhuc magis valet de lectione ephemeridum et periodicorum imaginibus refertorum>> (che ancora oggi ancor di più vale per la lettura di riviste e periodici pieni di immagini): la stampa era di qualità infinitamente migliore ai tempi del P. Prümmer (1866-1931), oggi invece costituirebbe un problema enorme trovare letture adatte a Chierici che non contengano eresie, empietà e nefandezze di ogni genere.

Comunque personalmente, data l'estrema gravità dell'obbligo dell'Ufficio e del facile rischio di commettere peccato mortale mancandovi, posso solo consigliare di adoperare l'interpretazione più stretta possibile degli impedimenti fisici e morali: considerarsi "troppo ammalati per recitarlo" quando si è realmente impossibilitati a leggere prestando tutta la concentrazione richiesta per rispettare le rubriche e per sopportare la fatica di una prolungata lettura vocale (quella mentale non basta, vedesi sotto al capitolo sul modo di recitare l'Ufficio); cedere solo alle occupazioni strettamente indispensabili o a quelle realmente necessarie alla salute delle anime (vedesi gli esempi proposti). La mentalità del Clero moderno - e modernista - essendo estremamente secolarizzata e per nulla orientata verso la spiritualità, molto facilmente i Sacerdoti cercano pretesti per di ogni genere non recitare il Breviario, assumendosi impegni estranei o poco pertinenti ai loro doveri di stato.

11 Ai soli Superiori regolari, non ai Vescovi diocesani o ad altre categorie di Prelati. A riprova di questo, il P. Prümmer rimanda alla questione 237 del suo Manuale Iuris Canonici (pag. 316), che si trova nella sezione relativa agli obblighi e privilegi dei Religiosi circa l'Ufficio.


III. FORMA DELL'UFFICIO DIVINO

È l'oggettiva disposizione delle preghiere determinata per ciascun giorno. Infatti la Chiesa non ha determinato solo in generale l'obbligo si recitare l'Ufficio, ma anche il suo rito tramite le rubriche. Il principio generale è: il rito e le rubriche prescritte dalla Chiesa obbligano in coscienza; tuttavia nella loro trasgressione può esserci parvità di materia, ed anzi se vi è una causa sufficiente, la loro trasgressione potrebbe risultare lecita. La violazione della forma dell'Ufficio può essere grave o lieve.


III.1 Gravi violazioni della forma dell'Ufficio

Ecco alcuni esempi di violazione grave, se non esiste causa scusante:

  • Se qualcuno muta il rito, utilizzando un altro Breviario rispetto a quello previsto. San Pio V ha prescritto che tutti coloro che sono astretti all'obbligo dell'Ufficio, sono tenuti a dirlo secondo la forma e il rito del Breviarium Romanum, eccetto quelle Chiese e Ordini Religiosi che da oltre duecento anni utilizzavano già altri Breviari legittimamente approvati.
    • La recitazione corale deve essere celebrata sub gravi o col Breviario Romano o con quello approvato, e nessun cambiamento è permesso senza licenza della Santa Sede.
    • Quanto alla recitazione privata:
      • Il Chierico Religioso eletto all'episcopato deve cambiare il proprio rito e adottare quello romano oppure quello della Diocesi in cui si trova (es. quello Ambrosiano a Milano, il Lionese a Lione etc); similmente il Cappellano che dice l'Ufficio insieme al Vescovo.
      • In passato gli autori insegnavano abbastanza comunemente che coloro i quali assistono alla recitazione corale dell'Ufficio, possono sempre conformarsi ad esso anche se sono tenuti ad un altro rito, e non sono obbligati a recuperarlo col proprio. La ragione è perché Santa Madre Chiesa favorisce la recitazione dell'Ufficio corale, perché in coro viene celebrato con maggior solennità e devozione che in privato. Tuttavia nei tempi più recenti questa dottrina non è più ritenuta sicura: infatti alla domanda <<Se un Chierico costituito negli Ordini Sacri, di sua iniziativa o invitato si aggiunge al Clero che canta o recita un Ufficio diverso, soddisfa al suo obbligo?>> la Sacra Congregazione dei Riti ha risposto <<Generalmente no>>. Esistono però speciali privilegi o precise cause sufficienti (es. un Sacerdote che fa il postulandato presso un Ordine Religioso).
      • Se almeno in caso di necessità un Religioso avente Breviario proprio, o viceversa un Chierico tenuto al Breviario Romano, possano soddisfare all'obbligo utilizzando un rito che non è il proprio, gli autori non concordano e non è stata stabilita una legge generale. Sant'Alfonso scrive che qualcuno che manchi del proprio Breviario, e ne abbia a disposizione uno di rito diverso, è tenuto a recitare quello per via del doppio precetto dell'Ufficio, quello universale di assolvere le Ore Canoniche, e quello di conservare la forma di ciascun giorno: quindi se non si può adempire ad entrambi i precetti, ne salvi almeno uno. Per contro i Salmanticenses12 sostengono che il precetto dell'Ufficio sia indivisibile: di recitarlo, e farlo sotto una data forma. Il P. Prümmer considera tuttavia la prima opinione come la maggiormente pia e razionale, dunque da seguire. In ogni caso ribadisce che al di fuori di un caso di necessità colui, che recita l'Ufficio non può lecitamente utilizzare il Breviario di un altro rito13

  • Un'altra grave violazione della forma dell'Ufficio avviene se qualcuno lo recita in una lingua che non sia quella latina: l'obbligo dell'Ufficio non viene assolto. Ciò ovviamente per quanto riguarda il Rito Romano e gli altri Riti Latini, questo precetto non concerne di certo i Riti Orientali.
  • Ancora, se qualcuno recita un Ufficio considerevolmente diverso per qualità e quantità. La qualità dell'Ufficio da recitare quotidianamente è determinata nel Calendario o Direttorio. La regola generale è: ciascuno vi è tenuto seguendo il Calendario proprio:
    • I beneficiari, come i Parroci, i Canonici, i Vescovi residenziali etc., sono tenuti all'Ufficio della propria chiesa, e così i Chierici ascritti a qualche chiesa (cioè coloro che per dovere costante, e non transitoriamente, vi esercitano la cura delle anime. I professori e gli alunni dei seminari sono considerati come ascritti alla chiesa del seminario. Gli Uffici propri di una chiesa sono: quello del Titolare, della Dedicazione, e delle Reliquie insigni di proprietà della chiesa.
    • I Chierici non beneficiari e non ascritti a nessuna chiesa sono tenuti a seguire il calendario della propria Diocesi. Se dimorano al di fuori di essa per breve tempo, possono, non essendo tenuti, seguire il calendario della Diocesi in cui si trovano. Se invece hanno acquisito il quasi-domicilio14 fuori dalla propria Diocesi, devono seguire il calendario di quel luogo: questa è l'opinione più probabile perché coloro che hanno il quasi-domicilio sono resi sudditi del Vescovo di quel luogo. Dunque, ad esempio, un Chierico negli Ordini Sacri che andasse a studiare in un'Università esterna alla propria Diocesi per la maggior parte dell'anno, adotterebbe il calendario della Diocesi in cui si trova l'Università. A maggior ragione se fosse Sacerdote, dato che vige l'obbligo di celebrare la Messa secondo il calendario della chiesa in cui si celebra (con poche eccezioni): e l'intenzione della Chiesa è che (per quanto possibile e salvo casi particolari come ad esempio le Messe Votive e di Requiem) la Messa sia conforme all'Ufficio recitato.
    • I Religiosi sono tenuti al calendario del convento o monastero in cui vivono. I Religiosi itineranti devono seguire il calendario del proprio convento eccetto che se sono giunti ad uno nuovo al cui calendario devono conformarsi; oppure se devono restare per lungo tempo (es. un mese) al di fuori dei conventi del loro Ordine, es. per predicare o per motivi di salute: in quel caso seguono il calendario della Provincia.


12 Teologi Carmelitani Scalzi del Collegio di Salamanca, che hanno scritto un amplissimo e monumentale Cursus Theologicus, commentario della Somma Teologica di San Tommaso d'Aquino, edito tra il XVII e il XVIII secolo.

13 Ovviamente questo quanto all'adempimento del precetto; nulla vieta che, assolto il proprio dovere e recitato l'Ufficio secondo il proprio rito, chi ne ha il tempo e la voglia possa recitarlo daccapo servendosi di altri riti secondo la propria devozione.

14 Il quasi-domicilio si acquisisce con la dimora in un certo luogo congiunta con la volontà di rimanervi per la maggior parte dell'anno (o se è stata effettivamente protratta per la maggior parte dell'anno), cfr. Codex Iuris Canonici, Can. 92 § 2. A quanto ammonti esattamente questa <<maior anni pars>> non lo trovo né nel Codice né nei manuali di diritto canonico; posso dunque solo presumere che sia di  sei mesi e mezzo oppure di sette mesi.


III.2 La commutazione di un Ufficio con un altro

Innanzitutto bisogna distinguere se tale commutazione è volontaria o involontaria.

Se qualcuno commuta volontariamente l'Ufficio con un altro considerevolmente diverso per qualità e quantità, pecca gravemente. Colui  che invece, per causa ragionevole, cambia l'Ufficio con un altro quasi della stessa qualità e quantità (es. se l'Ufficio da recitare non è contenuto nel Breviario in suo possesso), pecca leggermente o addirittura non pecca.

Se invece qualcuno sbaglia involontariamente, bisogna seguire tre regole:

  • Valet Officium pro Officio (un Ufficio vale per l'altro). Nessuno è tenuto a recitare daccapo l'Ufficio del giorno se per errore ne ha terminato uno sbagliato. Tuttavia se l'Ufficio recitato è considerevolmente più breve di quello che era realmente prescritto, occorre compensare per quanto si può la quantità omessa (es. se ha letto il Mattutino in un Notturno quando ne erano prescritti tre, bisogna recuperare sei Letture15).
  • Error corrigitur, unde deprehenditur (l'errore si corregge lì dove viene scoperto). Chi a un certo punto si accorge di stare sbagliando Ufficio, da quel punto prende quello corretto, senza bisogno di ripetere la parte di Ufficio già recitata. Alcuni autori ritengono che tanto valga proseguire con l'Ufficio già iniziato affinché non si congiungano due parti difformi; il P. Prümmer però considera preferibile seguire la prima opinione che è migliore e più comune: meglio recitare l'Ufficio proprio affinché l'errore non sia continuato. E tuttavia se qualcuno ha erroneamente recitato due volte la stessa Ora Canonica, a quel punto non può omettere la successiva o una quantità di Ufficio equivalente, perché il principio sopra espresso è <<Valet Officium pro Officio>>, e non <<Valet Hora pro Hora>>: omessa un'Ora Canonica la forma dell'Ufficio è notevolmente mutata e l'Ufficio del giorno non è recitato integralmente, cosa che è peccato.
  • Error non corrigitur per errorem (un errore non si corregge con un altro errore). Chi ha recitato un Ufficio che spettava a un giorno successivo deve recitarlo nuovamente al giorno in cui spetterà. Alcuni autori tra cui S. Alfonso ritengono contrariamente che vada recuperato quello omesso, perché come si può, secondo le rubriche, trasferire una festa da un giorno impedito ad un altro non impedito, così si potrebbe razionalmente considerare trasferibile un Ufficio per impedimento morale quale l'errore o l'ignoranza, affinché il Santo non sia privato per quell'anno dell'onore che gli è dovuto. Il P. Prümmer però sottolinea che la prima opinione è la più corretta e la più comune: infatti la privazione dell'onore che il Santo subisce perché un Chierico erroneamente non recita il suo Ufficio, è così piccola che deve cedere all'ordine stabilito nel calendario.


15 Per rendere il concetto più chiaro ho preferito sostituire l'esempio prendendone uno attuale, piuttosto che quello fondato sul Breviario anteriore al 1911.


IV. MODO DI RECITARE L'UFFICIO DIVINO

Per soddisfare pienamente il precetto ecclesiastico, l'Ufficio Divino deve essere recitato nel debito ordine, luogo, postura e tempo; integralmente; continuativamente; vocalmente; con attenzione e intenzione.


IV.1 Il debito ordine, il luogo, la postura e il tempo dell'Ufficio

IV.1.a Debito ordine (debitus ordo)

Non va osservato solamente tra i diversi Uffici come sono determinati dal calendario, ma anche nello stesso Ufficio come stabilito dalle rubriche. Tuttavia è principalmente proibita l'inversione del primo ordine che quella del secondo.

L'ordine delle Ore è il seguente: prima si recitano il Mattutino con le Lodi16, poi Prima, Terza, Sesta, Nona, e poi Vespri e Compieta. L'inversione di quest'ordine non può costituire peccato mortale dato che non lede la sostanza dell'Ufficio, anzi non è nemmeno peccato veniale se esiste una causa che induca a farlo (per esempio a me è capitato talvolta di non avere abbastanza tempo la mattina per recitare il Mattutino, e nemmeno il pomeriggio-sera per recitare il Breviario tutto insieme: dunque ho dovuto invertire le Ore in maniera da distribuirle secondo la tempistica più conveniente, sapendo di poterlo fare senza che ci fosse peccato). Alcuni dicono anzi che è del tutto lecito cambiare l'ordine delle commemorazioni in quanto le loro rubriche non sarebbero precettive ma direttive.

Invertire le Ore nella recitazione corale è però peccato almeno veniale, perché le loro rubriche obbligano molto più gravemente che in quella privata.


16 O, nella sola recita privata, i due anche separatamente.


IV.1.b Il luogo e la postura (locus et situs)

Essi sono accuratamente prescritti per la recitazione corale, ma per quella privata vi è una grande libertà. Di conseguenza l'Ufficio può essere recitato privatamente in qualsiasi luogo e posizione, a condizione che sia possibile l'attenzione necessaria17. La Sacra Penitenzieria Apostolica ha concesso l'indulgenza plenaria a coloro che recitano tutto l'Ufficio davanti al SS. Sacramento18.

Di diritto comune, i gesti quali inclinazioni, genuflessioni, segni di croce etc. sono prescritti solo per la recita corale, ma in certi Ordini Religiosi lo sono anche per quella privata. L'Orazione <<Sacrosanctae et individuae Trinitatis>> deve necessariamente essere detta in ginocchio se si vuole lucrare l'indulgenza19, solo gli infermi ne sono dispensati.


17 E che il tutto sia fatto col debito rispetto, aggiungo io, evitando luoghi inappropriati o facendo contemporaneamente altro es. fumare: non credo sarebbe peccato mortale, alla luce di quanto scrive il P. Prümmer, ma sarebbe di certo un'irriverenza verso la Divina Maestà.

18 Che l'augusto Sacramento sia esposto o conservato nel tabernacolo, e che l'Ufficio si reciti tutto di seguito o in più parti (purché sia detto integralmente davanti al SS. Sacramento), l'indulgenza plenaria è concessa anche quotidianamente, alle solite condizioni. Essa non vale per tutti, ma solo per i Chierici a partire dalla ricezione della Sacra Tonsura, per i Religiosi dall'ingresso in noviziato, e per le Religiose che che sono tenute all'Ufficio dalle loro Costituzioni. Se si recita solo in parte (la quantità non è specificata), l'indulgenza è invece di 500 giorni. Cfr. Enchiridion Indulgentiarum. Preces et pia opera, Typis polyglottis Vaticanis 1952, nn. 731, 732, 736, 758.

19 Enchiridion Indulgenziarum n. 737, ma la concessione dell'indulgenza per quest'Orazione si trova scritta anche nel Breviario.


IV.1.c Tempo (tempus)

Anticamente i tempi assegnati per le diverse Ore erano: il Mattutino verso mezzanotte, Lodi all'aurora, Prima dopo il sorgere del sole, Terza alle 9.00, Sesta a mezzogiorno, Nona alle 15.00, Vespri al tramonto, Compieta al calar della notte. Vedesi la pregiata immagine allegata in alto. Però la stessa consuetudine non vigeva in tutte le Chiese.

Secondo l'attuale disciplina nella recitazione corale bisogna osservare i legittimi statuti particolari, di modo che Mattutino e Lodi siano sempre recitate prima della Messa Conventuale conforme all'Ufficio.

Quanto alla recitazione privata esiste un unico grave obbligo: che tutto l'Ufficio sia terminato entro il giorno, cioè lo spazio delle 24 ore. L'Ufficio è considerato come l'onere di ciascun giorno: chi entro la mezzanotte non l'ha completato, non è tenuto a proseguirlo perché in ogni caso non assolverebbe l'obbligo, con la mezzanotte subentrando l'obbligo dell'Ufficio successivo. La Sacra Congregazione del Concilio ha deliberato nel 1893 che quanto all'Ufficio e al digiuno eucaristico20 ciascuno fosse libero di osservare l'ora solare o quella legale.

Tuttavia è comandato sotto peccato veniale (salvo legittima causa scusante) che si recitino Mattutino, Lodi, Prima e Terza entro mezzogiorno, Vespri e Compieta dopo mezzogiorno; Sesta e Nona liberamente. In Quaresima, dal Sabato dopo le Ceneri al Sabato Santo eccetto le Domeniche, i Vespri vanno recitati prima di mezzogiorno. Comunque facilmente può esserci una causa sufficiente perché tutto l'Ufficio possa essere recitato in qualunque ora del giorno.

Ancora, le rubriche del Messale prescrivono che il Sacerdote reciti Mattutino e Lodi prima della celebrazione della Messa; anche se un tempo lo si considerava un grave precetto, l'opinione più comune e più probabile ammette solo un obbligo leggero, poiché tra la Messa e l'Ufficio non vi è una connessione così stretta, dato che oggi la Messa frequentemente non corrisponde all'Ufficio detto (es. se si celebrano Messe Votive o di Requiem, se si celebra in una chiesa che non è la propria...). Inoltre la recita del Mattutino non è considerata una preparazione necessaria alla Messa, dato che il Sacerdote vi si può disporre con altre preghiere. Ciò nonostante esiste un vero obbligo morale di recitare Mattutino e Lodi prima della Messa, sia perché tutte le rubriche del Messale sono probabilmente precettive, sia perché la mancata recitazione di queste Ore è annumerata tra i difetti della Messa21. Affinché si pospongano lecitamente Mattutino e Lodi alla Messa occorre una causa ragionevole; è però un grave disordine se si celebra la Messa Conventuale conforme all'Ufficio prima che si siano cantati Mattutino e Lodi in coro, se non vi è una causa urgente.

Mattutino e Lodi sono l'unica eccezione alla regola delle 24 ore: possono essere anticipate al giorno precedente a partire da quell'ora che corrisponde alla metà del percorso solare tra il mezzogiorno e il tramonto. Secondo l'attuale disciplina quest'anticipazione si può fare a partire a partire dalle 14.00 ma solo nella recitazione privata, come è stato dichiarato dalla Sacra Congregazione dei Riti nel 1905. Le altre Ore non possono essere anticipate prima della mezzanotte con cui incomincia il giorno in cui vanno recitate.


20 Sin da tempi immemorabili è stabilito che il digiuno eucaristico incominci dalla mezzanotte e che nessuno possa ricevere la Sacra Comunione se ha mangiato o bevuto (anche solo acqua) dopo la mezzanotte. Nel 1953 Pio XII ha concesso la facoltà di ridurre a sole tre ore il digiuno per i cibi solidi e le bevande alcoliche, a un'ora per le bevande non alcoliche, e quanto all'acqua non vi sono più restrizioni. Inizialmente ciò era previsto per casi specifici, ma nel 1957 lo stesso Pontefice lo ha generalizzato istituendo la possibilità di celebrare la Messa del giorno - e mai quella dell'indomani - anche nel pomeriggio. I riferimenti sono la Costituzione Apostolica Christus Dominus del 6 Gennaio 1953 e il Motu Proprio Sacram Communionem del 19 Marzo 1957.

21 Missale Romanum, De defectibus in celebratione Missarum occurrentibus, X.1.


IV.2 L'Ufficio dev'essere recitato integralmente (integre)

Come detto sopra nel capitolo sull'obbligatorietà dell'Ufficio, si rende colpevole di peccato mortale chi ne omette una parte considerevole equivalente a un'Ora Canonica, che questa parte sia continua o che sia la somma di più parti separate. Anzi, se qualcuno pronuncia le parole troncandole o omettendo delle sillabe, pecca contra l'integrità dell'Ufficio, ma in questo caso raramente si arriva al peccato mortale, l'omissione di lettere o sillabe dovrebbe essere veramente enorme22. La ragione è che <<sic debemus loqui in moralibus, ut non detur ingressus scrupulis infinitis>> (dobbiamo così parlare negli argomenti di morale, che non si dia adito a scrupoli infiniti), cosa che succederebbe se per qualche lieve mutilazione accidentale (che capita spesso e facilmente) alla fine dell'Ufficio si crederebbe di aver abbastanza materia per un peccato mortale.

L'integrità dell'Ufficio non è lesa quando si canta a cori alterni, oppure se qualcuno occupato in funzioni necessarie al coro, come l'organista, omettesse di recitare qualche verso o anche un salmo intero: infatti, come si dice, <<chorus supplet>> (il coro supplisce). Chi suona l'organo mentre il coro canta non soddisfa all'obbligo se non canta intellegibilmente i versi alterni con una parte del coro, e con esso non risponde alle parti dell'Ufficio comuni al coro intero. Anche nella recita privata è possibile dire l'Ufficio in modo alternato con uno o più compagni, tanto Chierici che laici e persino donne; è richiesto però che ha l'obbligo ascolti gli altri: i sordi non possono recitare l'Ufficio in questo modo. La recitazione privata alternata facilita la devozione, dunque è da consigliarsi se la si può fare facilmente.


22 Eppure posso affermare di conoscere Sacerdoti con una pronuncia del latino così raccapricciante e lacunosa da essere irriconoscibile: mangiano sillabe da tutte le parole che pronunziano, e onestamente mi è venuto il dubbio sulla validità della loro Messa (a meno che nel Canone non prestino una speciale attenzione). In questi casi non ci sarebbe da stupirsi se l'eventualità che il P. Prümmer da per estremamente ipotetica, si verificasse di fatto.


IV.3 L'Ufficio dev'essere recitato continuativamente (continue)

L'Ufficio nel suo insieme deve essere recitato in più parti salvo cause scusanti, come detto sopra, ma le singole Ore non devono essere interrotte. I teologi sono unanimi nel dire che qualsiasi interruzione, anche fatta senza causa ragionevole, non costituisce mai peccato mortale: infatti l'unico obbligo è la sua recita nello spazio di un giorno. Tuttavia un'interruzione considerevole fatta senza causa tra le parti di una stessa Ora è peccato veniale, dato che proviene dall'irriverenza nella preghiera. Se invece l'interruzione nella stessa Ora è breve può esserci facilmente una causa scusante senza colpa. È anche lecito interrompere la recita es. per salutare un amico o per dare una breve risposta; o separare - nella sola recita privata, non in coro - il Mattutino dalle Lodi (nel qual caso le rubriche prevedono la conclusione del Mattutino col Dominus vobiscum, l'Orazione, il Benedicamus Domino e il Fidelium animae; prima delle Lodi si dicono Pater e Ave). Nel Mattutino i Notturni si possono separare l'uno dall'altro per lo spazio di tre ore, cosa che in realtà costituiva la prassi antica.

Le giuste cause per interrompere l'Ufficio sono per Sant'Alfonso <<qualunque utilità propria o altrui che se differita reca incomodo>>; inoltre anche la buona educazione, la devozione, l'obbedienza agli ordini dei superiori, se si vuole fare o annotare qualcosa e si rischia di dimenticarla (in questo caso non deve avvenire di frequente). Lecitamente si può anche inframezzare l'Ufficio con altre preghiere o giaculatorie per aumentare la devozione: vale l'adagio <<una oratio non interrumpitur per aliam>> (una preghiera non si considera interrotta se lo è da un'altra preghiera).


IV.4 L'Ufficio dev'essere recitato oralmente o vocalmente (ore vel vocaliter)

Non posso fare a meno di sottolineare che questo è un punto di particolare importanza: se le caratteristiche sopra menzionate non inficiano o inficiano poco l'adempimento dell'obbligo (eccezion fatta per le 24 ore, che devono essere imperativamente rispettate), questo aspetto è uno dei più importanti: l'Ufficio deve essere effettivamente pronunciato pena il suo mancato adempimento.

L'Ufficio è preghiera pubblica della Chiesa, quindi deve essere sempre fatto a voce. Ne consegue che ogni singola parola deve essere formata con la bocca, le labbra e la lingua, anche nella recita privata. Le parole devono essere così pronunciate che colui che prega deve essere conscio di stare realmente proferendole, anche se di fatto non le si ode. Non è richiesto che i circostanti possano sentire, anzi nella recita privata è bene non arrecare loro molestia. Il Chierico che recita l'Ufficio solo mentalmente o scorrendolo con gli occhi non soddisfa all'obbligo, a meno che non gli sia stato concesso uno speciale privilegio.

Nella recita corale ogni corista deve recitare o cantare in modo alternato l'Ufficio: non è richiesto che ciascuno sia udito dal coro opposto, basta che possa essere ascoltato da chi gli sta vicino. Infatti l'essenza della recita corale sta nel fatto che ogni corista aiuti convenientemente con la propria voce, perché ciascuna parte del coro possa degnamente capire l'altra.


IV.5 L'Ufficio va recitato con intenzione e attenzione debita (cum intentione et attentione debita).

L'intenzione richiesta è quella di pregare Dio, onorarLo e adorarLo. Non è richiesto che questa intenzione sia esplicita e espressa, è sufficiente che il Chierico reciti l'Ufficio per la ragione di soddisfare il suo obbligo. Comunque l'intenzione è ottimamente espressa con quelle parole della preghiera Aperi Domine che si può recitare prima delle Ore: <<Domine, in unione illius divinae intentionis, qua ipse in terris laudes Deo persolvisti, has tibi Horas persolvo>> (Signore, adempio queste Ore per Voi in unione a quella divina intenzione con la quale Voi, sulla terra, avete adempiuto le Lodi a Dio [Padre]).

Quanto all'attenzione richiesta nell'Ufficio, il P. Prümmer  rimanda alla controversia sulla necessità dell'attenzione interna nel compiere gli atti della virtù di religione (pagg. 300-304 del Manuale Theologiae Moralis). Secondo tutti i teologi è certamente richiesta l'attenzione esterna23, ma se sia necessaria anche quella interna per soddisfare l'obbligo, non vi è consenso.

Il capitolo viene concluso con un piccolo prezioso paragrafo sui rimedi per scacciare le distrazioni:

1. All'inizio dell'Ufficio formare la strenua ed esplicita intenzione di lodare Dio; 2. rinnovare quest'intenzione ai Gloria Patri o all'inizio di ciascun Salmo; 3. raffigurarsi mentalmente qualche Mistero della Passione durante la recita dell'Ufficio; 4. custodire attentamente i sensi; 5. fare i gesti esterni del corpo compitamente e con reverenza; 6. sarebbe particolarmente indicato recitare l'Ufficio in ginocchio davanti al SS. Sacramento piuttosto che seduti o sdraiati, se non vi è causa ragionevole; 7. studiare il senso corretto dei Salmi e delle altre cose che sono dette nell'Ufficio: non raramente infatti le distrazioni sono causate dal fatto che il Chierico non comprende il vero senso di ciò che recita.


23 L'attenzione esterna concerne gli atti esterni come ad esempio leggere il Breviario e sfogliarlo correttamente andando alle pagine giuste, evitando distrazioni quali il fare altre cose. L'attenzione interna, sintetizzando al massimo, è quella alle parole della preghiera intese materialmente, cioè affinché siano pronunciate correttamente, poi al senso delle parole, e al fine della preghiera; essa esclude le distrazioni interne come il divagare pensando ad altro.

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