Domenica delle Palme, Domenica Maggiore di I Classe, Semidoppio, colore liturgico violaceo. Commemorazione di San Giovanni da Capestrano Confessore a Lodi e Vespri ma non alla Messa.
Da oggi comincia il tempo in cui si può soddisfare al Precetto Pasquale, che durerà sino alla Domenica in Albis.
Qui per le peculiarità del Tempo di Passione:
https://loquerequaedecentsanamdoctrinam.blogspot.com/2021/03/dispensa-di-liturgia-sul-tempo-di.html
Al Breviario
A Mattutino Invitatorio Hodie si vocem Domini, Inno, Antifone, Salmi e Versetti dal Salterio; Letture e Responsori dal Proprio del Tempo.
A Lodi tutto dal Proprio del Tempo, Salmi dello Schema II del Salterio (Salmi 50, 117, 62, un Cantico dei Tre Fanciulli diverso rispetto a quello solito e Salmo 148). Commemorazione dal Proprio dei Santi (al 28 Marzo).
Avendo usato a Lodi lo Schema II, a Prima si dicono i Salmi 92, 99 e i due primi spezzoni del 118. Antifona dal Proprio del Tempo, Lettura Breve Faciem meam.
A Terza, Sesta e Nona Antifona, Capitolo, Responsorio, Versetto e Orazione dal Proprio del Tempo, Inno e Salmi dal Salterio.
Ai Vespri Antifone e Salmi dal Salterio, il resto dal Proprio del Tempo (se il Capitolo e l'Inno si trovano anch'essi nel Salterio tanto meglio, dipende dall'edizione del Breviario). Commemorazione come sopra.
Le Antifone non si raddoppiano, si dicono le Preci Domenicali a Prima e Compieta.
Al Messale
Prima della Messa principale si fa la Benedizione delle palme e rami d'ulivo o altri con la processione, nelle quali il Sacerdote indossa il piviale, Diacono e Suddiacono le pianete plicate, di colore violaceo. Questa cerimonia è normata dal Messale per la celebrazione solenne nelle chiese dotate di sufficiente Clero, dal Memoriale Rituum per la celebrazione cantata o letta nelle piccole chiese con scarso Clero, e dal Coeremoniale Episcoporum per quella pontificale.
Similmente a quanto ho fatto per la Festa della Purificazione e il Mercoledì delle Ceneri, e spero di fare per il Triduo Sacro e la Vigilia di Pentecoste, non mi soffermerò a descrivere la Benedizione delle palme e la processione in queste varianti, su questo mi limito alle citazioni dello Stercky e del Baldeschi. Siccome il Memoriale Rituum prevede che il Sacerdote sia assistito come minimo da tre ministri di cui almeno uno tonsurato, condizioni che oggi, nella situazione di crisi dottrinale e liturgica della Chiesa non si possono sempre adempire nelle cappelle in cui spesso sono confinati coloro che celebrano la vera Messa, proverò a schematizzare al massimo la cerimonia in modo che i Sacerdoti possano celebrarla anche senza ministri. Attenzione: tutti i cerimoniali essendo stati scritti in tempi cattolici, non si poteva nemmeno concepire una cerimonia senza chierici o chierichetti: questa qui è una mia sintesi personale e opinabile motivata dallo stato di necessità e dettata dall'epikeia (stando alle rubriche non si potrebbero celebrare le cerimonie del Memoriale Rituum senza il minimo dei tre ministri richiesti, ma ai nostri giorni ciò significherebbe che moltissimi Sacerdoti dovrebbero privarsi - e privare i fedeli - perpetuamente della Candelora, delle Ceneri, delle Palme, del Triduo Sacro e della Vigilia di Pentecoste, cosa questa insostenibile). Posso intanto rassicurare tutti garantendo, per esperienza diretta, che, con la debita preparazione liturgica (studiando le cose anche con settimane di anticipo, elaborandosi mentalmente le singole azioni come fatte tutte dal solo Sacerdote nel debito ordine), anticipando anche nella misura del possibile la preparazione fisica (acquisto tempestivo di tutti gli arredi sacri richiesti, debita disposizione degli oggetti liturgici in chiesa prima delle cerimonie, in modo che siano pronti al momento in cui serviranno), con estrema calma poiché la fretta in queste circostanze è deleteria, prendendosi il tempo che ci vuole, è possibile celebrare tutte queste sacre funzioni senza ministri, proprio tutte, anche quelle assurdamente complicate come la Messa dei Presantificati e la Vigilia Pasquale: è questione di avere schemi mentali ben definiti, ripassati ad nauseam fino a dieci secondi prima di iniziare, e di metterli in pratica con pazienza (certo è mentalmente e fisicamente spossante come poche cose al mondo, ma ne vale la pena).
- Il Messale si trova già aperto al lato dell'Epistola, e si accendono sei candele (perché anche se letta, la funzione è di sua natura solenne). Ai piedi dell'Altare si dispongono il foglio per l'Asperges e il secchiello dell'acqua benedetta con l'aspersorio. Vicino l'Altare, al lato dell'Epistola, si dispongono una tavola coperta di tovaglia con le palme o i rami, il necessario per un lavabo, il turibolo (che è meglio accendere prima) e la navetta; lì accanto si colloca anche la croce astile velata. Alla credenza si dispongono pianeta, manipolo, piviale e stola violacei, cingolo, alba, amitto e cotta.
- Terminata la preparazione abituale, indossati cotta, amitto, alba, cingolo, stola e piviale violacei e la berretta, il Sacerdote, fatta la riverenza conveniente e tolta la berretta, fa l'Asperges come al solito, ricordandosi di omettere il Gloria Patri poiché si è in tempo di Passione. Posati, per maggior comodità, il secchiello e l'aspersorio sulla credenza dove stanno le palme, sale a baciare l'Altare e va al Messale. Quivi, le mani giunte, legge l'Antifona Hosanna col Dominus vobiscum e l'Orazione Deus quem diligere, e posando le mani sul Messale legge la lettura dell'Esodo, il Graduale (a scelta Collegerunt pontifices oppure In monte Oliveti), poi a mani giunte, senza inchinarsi, il Munda cor meum con lo Jube Domine e Dominus sit, e il Vangelo, alla fine del quale bacia il Messale dicendo Per evangelica dicta. Allora, detto il Dominus vobiscum legge l'Orazione Auge fidem, e sempre stando a mani giunte, il Prefazio col Sanctus, poi Dominus vobiscum e le cinque Orazioni. Quando deve benedire le palme posa la mano sinistra sull'Altare e volgendosi alla sua destra benedice (se vi sono ministri gli sollevano l'estremità del piviale). Dopo l'ultima Orazione infonde l'incenso nel turibolo benedicendolo, asperge tre volte le palme dicendo a bassa voce l'Antifona Asperges me senza il salmo, e le incensa con tre colpi. Poi dopo il Dominus Vobiscum legge l'Orazione Deus qui Filium. Qui, se vuole predicare, rimette la berretta e siede su uno sgabello al lato del Vangelo.
- Finita la Benedizione o la predica, un chierico posa una delle palme benedette al centro dell'Altare, il Sacerdote la prende, la bacia e glie la restituisce. In assenza di ministri suppongo che il Sacerdote debba farlo da solo, e se non c'è coro, dopo aver preso, baciato e posato la palma, va al Messale a leggere le due Antifone Pueri Hebraeorum portantes ramos e Pueri Hebraeorum vestimenta prosternebant. Poi va al centro dell'Altare e rivolto verso i fedeli distribuisce le palme, prima ai chierici se ve ne sono, poi ai laici (e prima agli uomini poi alle donne); così come alla Comunione, la distribuzione procede dal lato dell'Epistola verso quella del Vangelo. Chi riceve la palma o il ramo, stando in ginocchio, prima bacia essa poi la mano del Sacerdote.
- Terminata la distribuzione il Sacerdote torna all'Altare dove, fatta la riverenza, si reca presso la credenza posta al lato dell'Epistola a legare con nastro violaceo una delle palme alla croce astile, e poi fa il lavabo. Raggiunto il Messale il Sacerdote dice Dominus vobiscum e l'Orazione Omnipotens sempiterne Deus.
- In assenza totale di chierichetti penso sia più opportuno omettere la processione (in realtà si dovrebbe proprio rinunziare a tutta la cerimonia della benedizione delle palme e celebrare la sola Messa; ma se non si benedicono le palme e i rami, con cosa si prepareranno le Sacre Ceneri dell'anno successivo? Penso che nel dubbio bisogni arrangiarsi, la Sacra Congregazione dei Riti non ha mai lasciato istruzioni da seguire in tempo di apostasia generalizzata). Se si vuol fare comunque la processione, credo che l'unica soluzione, per quanto strana e forse anche un tantino sconveniente, sia questa: che il Sacerdote, indossata la berretta, tenga con la destra la palma e un messalino aperto o un foglio nel quale possa leggere le Antifone, e con la sinistra la croce astile. Al centro dell'Altare e volto ai fedeli, dice Procedamus in pace, e seguito dai fedeli recanti le loro palme, farà il percorso stabilito, ricordandosi di chiudere la porta della chiesa quando la processione è uscita (se vi è almeno un chierichetto resta dentro, vicino alla porta e rivolto ad essa). Durante la processione si leggono le sei Antifone prescritte. Tornati davanti la porta della chiesa, il chierichetto che è rimasto dentro legge il ritornello del Gloria laus, e all'esterno il Sacerdote risponde, poi si alternano, il chierico leggendo le strofe e il Sacerdote il ritornello. Se ciò non si può fare, per mancanza di chierichetto o perché non è capace di leggere il latino, penso tocchi al Sacerdote leggere tutto il Gloria laus; in ogni caso, alla fine, egli batte tre volte col piede della croce astile contro la porta e la apre, o meglio, questa viene aperta dall'interno. Entrando si legge il Responsorio Ingrediente Domino. Fatta la riverenza all'Altare, il Sacerdote va alla credenza a togliere il piviale, indossare manipolo e pianeta e a prendere il calice.
Messa della Domenica delle Palme:
- La Messa si celebra integralmente, comprese le preghiere ai piedi dell'Altare (omesso solo il Salmo 42 come in tutte le Messe de tempore del Tempo di Passione)
- Orazione unica della Messa (la commemorazione e l'Orazione pro diversitate temporum assignata oggi si omettono)
- Durante l'Epistola ci si genuflette da In nomine Jesu fino ad infernorum
- Detto il Tratto, e senza aggiungere altro, portato il Messale al lato del Vangelo, il Passio comincia direttamente con Passio Domini nostri. Se ci sono tre Diaconi essi cantano il Passio mentre il Sacerdote lo legge all'Altare. Se vi sono due Diaconi, essi leggono la parte del Cronista e della Sinagoga mentre il Sacerdote, sempre sull'Altare e mantenendo la pianeta, legge quella di Nostro Signore. Altrimenti il solo celebrante legge tutto quanto il Passio: in ogni caso, per nessuna ragione, non è mai permesso ai laici o a chierici non ancora Diaconi di prendere parte alla lettura del Passio. Ad emisit spiritum si resta qualche secondo inginocchiati. A sedentes contra sepulchrum si dice il Munda cor meum, Jube Domine e Dominus sit e nella Messa solenne si portano i ceri e il turibolo, il Diacono chiede la benedizione e incensa il libro: il resto del Passio da Altera autem die è infatti il Vangelo della Messa vero e proprio. Durante tutto il Passio i fedeli tengono in mano le palme e i rami benedetti.
- Credo
- Prefazio della Santa Croce
- Benedicamus Domino
- Prologo di San Giovanni (nelle Messe in cui non si benedicono le palme, come ultimo Vangelo si legge quello della benedizione)
Come scritto sopra, tutto ciò si riferisce a una situazione di totale mancanza di chierici o chierichetti e di coro (lo ripeto ancora: se si possono avere come minimo due chierichetti più un Chierico almeno tonsurato, si fa sic et simpliciter quanto previsto dal Memoriale Rituum senza alterazioni). In passato ho conosciuto dei Sacerdoti privi di formazione tradizionale che, in preda a delirio di onnipotenza, si sentono come sovrani di un far west liturgico e interpretano o scavalcano le rubriche come gli pare e piace, giusto perché gli va così o perché l'estro del momento gli ispira tali e tali follie: per questo ricordo che nel rito tridentino, oltre all'obbligo (per quanto materialmente possibile) di osservare pedissequamente le rubriche, non è permesso affidare mansioni prettamente liturgiche ai laici eccetto, appunto quella di chierichetto (per i soli uomini) e del coro (di preferenza agli uomini, ma se vi sono anche donne, vanno formati due cori distinti e fisicamente separati). Non tutti dispongono di una folla di chierici come i fortunati Seminari di Econe o Gricigliano, ci sono cappelle i cui Sacerdoti, soli, cercano di cattolicizzare i fedeli manco fossero nei più remoti territori di missione, resistendo come possono contro Vescovi e Clero diocesani infetti di modernismo. È a loro che si rivolge questa mia estrema riduzione del Memoriale Rituum adattata in modo che il solo celebrante possa svolgere tutte quante le cerimonie.
Bibliografia per la celebrazione della Messa della Domenica delle Palme:
- Nelle chiese dotate di Clero numeroso, a norma del Missale Romanum e del Rituale Romanum: L. Stercky, Manuel de liturgie et cérémonial selon le Rit Romain, Paris, Lecoffre 1935, Tomo II, pag. 261-276. Una nota sulle Messe basse della Domenica delle Palme, del Martedì Santo e del Mercoledì Santo continua fino a pag. 277
- Nelle piccole chiese con scarso Clero, a norma del Memoriale Rituum: Manuel de liturgie... cit., Tomo II, pag. 425-436
- Celebrata pontificalmente, a norma del Caeremoniale Episcoporum: L. Stercky, Les Fonctions Pontificales selon le Rit Romain, Paris Lecoffre 1932, Tomo II, pag. 46-73
- Per quanto il Baldeschi non sia completo e dettagliato quanto lo Stercky, ha comunque l'indubbio vantaggio di essere in italiano: G. Baldeschi, Esposizione delle Sacre Cerimonie per le funzioni ordinarie, straordinarie e pontificali, Roma, Desclée & C. 1931, pag. 206-216
Letture del Mattutino (in latino)
AD I NOCTURNUM
Lectio 1
De Jeremía Prophéta
Jer 2:12-17
Obstupéscite, cæli, super hoc, et, portæ ejus, desolámini veheménter, dicit Dóminus. Duo enim mala fecit pópulus meus: Me dereliquérunt fontem aquæ vivæ, et fodérunt sibi cistérnas, cistérnas dissipátas, quæ continére non valent aquas. Numquid servus est Israël, aut vernáculus? Quare ergo factus est in prædam? Super eum rugiérunt leones, et dedérunt vocem suam, posuérunt terram ejus in solitúdinem: civitátes ejus exústæ sunt, et non est qui hábitet in eis. Fílii quoque Mémpheos et Taphnes constupravérunt te usque ad vérticem. Numquid non istud factum est tibi, quia dereliquísti Dóminum Deum tuum eo témpore, quo ducébat te per viam?
Lectio 2, Jer 2:18-22
Et nunc quid tibi vis in via Ægýpti, ut bibas aquam túrbidam? et quid tibi cum via Assyriórum, ut bibas aquam flúminis? Arguet te malítia tua, et avérsio tua increpábit te. Scito, et vide quia malum et amárum est reliquísse te Dóminum Deum tuum, et non esse timórem mei apud te, dicit Dóminus Deus exercítuum. A sǽculo confregísti jugum meum, rupísti víncula mea, et dixísti: Non sérviam. In omni enim colle sublími, et sub omni ligno frondóso, tu prosternebáris méretrix. Ego autem plantávi te víneam eléctam, omne semen verum: quómodo ergo convérsa es mihi in pravum, vínea aliéna? Si láveris te nitro, et multiplicáveris tibi herbam borith, maculáta es in iniquitáte tua coram me, dicit Dóminus Deus.
Lectio 3, Jer 2:29-32
Quid vultis mecum judício conténdere? Omnes dereliquístis me, dicit Dóminus. Frustra percússi fílios vestros, disciplínam non recepérunt: devorávit gládius vester prophétas vestros, quasi leo vastátor generátio vestra. Vidéte verbum Dómini: Numquid solitúdo factus sum Israéli, aut terra serótina? Quare ergo dixit pópulus meus: Recéssimus, non veniémus ultra ad te? Numquid obliviscétur virgo ornaménti sui, aut sponsa fásciæ pectorális suæ? pópulus vero meus oblítus est mei diébus innúmeris.
AD II NOCTURNUM
Lectio 4
Sermo sancti Leónis Papæ
Sermo 11 de Passióne Dómini
Desideráta nobis, dilectíssimi, et univérso optábilis mundo adest festívitas Domínicæ passiónis, quæ nos inter exsultatiónes spirituálium gaudiórum silére non pátitur. Quia etsi diffícile est, de eádem solemnitáte sǽpius digne aptéque dissérere: non est tamen líberum sacerdóti in tanto divínæ misericórdiæ sacraménto fidélibus pópulis subtráhere sermónis offícium: cum ipsa matéria ex eo quod est ineffábilis, fandi tríbuat facultátem: nec possit defícere quod dicátur, dum numquam potest satis esse quod dícitur. Succúmbat ergo humána infírmitas glóriæ Dei, et in explicándis opéribus misericórdiæ ejus, ímparem se semper invéniat. Laborémus sensu, hæreámus ingénio, deficiámus elóquio: bonum est ut nobis parum sit, quod étiam recte de Dómini majestáte sentímus.
Lectio 5
Dicénte enim prophéta: Quǽrite Dóminum, et confirmámini, quǽrite fáciem ejus semper: némini præsuméndum est, quod totum quod quærit, invenérit, ne désinat propinquáre, qui cessárit accédere. Quid autem inter ómnia ópera Dei, in quibus humánæ admiratiónis fatigátur inténtio, ita contemplatiónem mentis nostræ et obléctat et súperat, sicut pássio Salvatóris? Qui ut humánum genus vínculis mortíferæ prævaricatiónis absólveret, et sæviénti diábolo poténtiam suæ majestátis occúluit, et infirmitátem nostræ humilitátis objécit. Si enim crudélis et supérbus inimícus consílium misericórdiæ Dei nosse potuísset, Judæórum ánimos mansuetúdine pótius temperáre, quam injústis ódiis studuísset accéndere: ne ómnium captivórum amítteret servitútem, dum nihil sibi debéntis perséquitur libertátem.
Lectio 6
Feféllit ergo illum malígnitas sua, íntulit supplícium Fílio Dei, quod cunctis fíliis hóminum in remédium verterétur. Fudit sánguinem justum, qui reconciliándo mundo et prétium esset, et póculum. Suscépit Dóminus, quod secúndum propósitum suæ voluntátis elégit. Admísit in se ímpias manus furéntium: quæ dum próprio incúmbunt scéleri, famulátæ sunt Redemptóri. Cujus étiam circa interfectóres suos tanta erat pietátis afféctio, ut de cruce súpplicans Patri, non se vindicári, sed illis postuláret ignósci.
AD III NOCTURNUM
Lectio 7
Léctio sancti Evangélii secúndum Matthǽum
Matt 21:1-9
In illo témpore: Cum appropinquásset Jesus Jerosólymis, et venísset Béthphage ad montem Olivéti: tunc misit duos discípulos, dicens eis. Et réliqua.
Homilía sancti Ambrósii Epíscopi
Liber 9 in Lucam
Pulchre relíctis Judǽis, habitatúrus in afféctibus géntium, templum Dóminus ascéndit. Hoc enim templum est verum, in quo non in líttera, sed in spíritu Dóminus adorátur. Hoc Dei templum est, quod fídei séries, non lápidum structúra fundávit. Deserúntur ergo qui óderant: eligúntur qui amatúri erant. Et ídeo ad montem venit Olivéti, ut novéllas óleas in sublími virtúte plantáret, quarum mater est illa, quæ sursum est, Jerúsalem. In hoc monte est ille cæléstis agrícola: ut plantáti omnes in domo Dei, possint virítim dícere: Ego autem sicut olíva fructífera in domo Dómini.
Lectio 8
Et fortásse ipse mons Christus est. Quis enim álius tales fructus ferret oleárum, non curvescéntium ubertáte baccárum, sed spíritus plenitúdine géntium fœcundárum? Ipse est per quem ascéndimus, et ad quem ascéndimus. Ipse est jánua, ipse est via, qui aperítur, et qui áperit: qui pulsátur ab ingrediéntibus, et ab eméritis adorátur. Ergo in castéllo erat, et ligátus erat pullus cum ásina: non póterat solvi nisi jussu Dómini. Solvit eum manus apostólica. Talis actus, talis vita, talis grátia. Esto talis et tu, ut possis ligátos sólvere.
Lectio 9
Nunc considerémus qui fúerint illi, qui erróre detécto, de paradíso ejécti, in castéllum sint relegáti. Et vides, quemádmodum quos mors expúlerat, vita revocáverit. Et ídeo secúndum Matthǽum, et ásinam et pullum légimus: ut quia in duóbus homínibus utérque fúerat sexus expúlsus, in duóbus animálibus sexus utérque revocétur. Ergo illic in ásina matre quasi Hevam figurávit erróris: hic autem in pullo generalitátem pópuli Gentílis expréssit: et ídeo pullo sedétur ásinæ. Et bene, in quo nemo sedit: quia nullus, ántequam Christus, natiónum pópulos vocávit ad Ecclésiam. Dénique secúndum Marcum sic habes: Quem nemo adhuc sedit hóminum.
Traduzione italiana delle Letture del Mattutino
I NOTTURNO
Lettura 1
Dal Profeta Geremia
Ger 2:12-17
Stupite, o cieli, inorridite fuormisura porte di esso su tal fatto, dice il Signore. Perché il mio popolo ha fatto due mali: Hanno abbandonato me fonte di acqua viva, e si sono scavate delle cisterne, delle cisterne forate che non valgono a contenere le acque. Israele è forse uno schiavo, o figlio di schiava? Perché dunque è messo a ruba? I leoni ruggiscono contro di lui, hanno alzato la loro voce, e devastano la sua terra: le sue città sono incendiate, e non c'è più alcuno che vi abiti. I figli stessi di Menfi e di Tafnes ti hanno coperta di obbrobrio sino alla cima del capo. E ciò non t'è avvenuto perché hai abbandonato il Signore Dio tuo nel tempo che egli ti conduceva per via?
Lettura 2, Ger 2:18-22
E adesso che vuoi tu fare andando verso l'Egitto a bere acqua torbida? e che vuoi andando verso gli Assiri a bere l'acqua d'un fiume? La tua malvagità ti condannerà, e la tua ribellione griderà contro di te. Riconosci, e guarda com'è male e doloroso l'aver tu abbandonato il Signore Dio tuo, e non avere tu il mio timore, dice il Signore Dio degli eserciti. Già da gran tempo spezzasti il mio giogo, rompesti i miei legami, e dicesti: Non servirò. Infatti su ogni alto colle e sotto ogni ombrosa pianta tu peccasti, sfacciata donna. Ma io ti piantai una vigna eletta di tralci tutti di buona natura: come dunque ti sei mutata in cattiva vigna bastarda? Quand'anche ti lavassi col nitro, e facessi uso continuo dell'erba borit, dinanzi a me tu sei sordida per la tua iniquità, dice il Signore Dio.
Lettura 3, Ger 2:29-32
Perché volete disputare con me in giudizio? Mi avete tutti abbandonato, dice il Signore. Invano castigai i vostri figli, essi non accolsero la correzione: la vostra spada divorò i vostri profeti, come leone che devasta è la vostra generazione. Osservate ciò che dice il Signore: Son io stato forse per Israele un deserto, o una terra tardiva? Perché dunque il mio popolo ha detto: Noi ci siamo ritirati, non verrem più da te? Si scorderà una fanciulla del suo abbigliamento, o una sposa della fascia del suo petto? pure il mio popolo si è scordato di me da tanto tempo.
II NOTTURNO
Lettura 4
Sermone di san Leone Papa
Sermone 11 sulla Passione del Signore
La solennità della passione del Signore, desiderata da noi, fratelli dilettissimi, e desiderabile al mondo intero è giunta, ed essa non ci permette di starcene silenziosi tra l'esultanza delle gioie spirituali (che spande in noi). Perché sebbene sia difficile di parlare spesso in maniera degna e giusta di tale solennità; tuttavia un vescovo non è libero di privare il popolo fedele del discorso che gli deve su questo gran mistero della divina misericordia: tanto più che. la stessa materia per ciò stesso ch'è ineffabile fornisce abbondantemente di che parlare; né possono mancare le parole dal momento che non se ne potrà dire mai abbastanza. La debolezza umana si riconosca dunque sopraffatta dalla gloria di Dio, e sempre incapace di spiegare le opere della sua misericordia. La nostra intelligenza faccia sforzi, il nostro spirito resti in forse, ci venga pur meno l'espressione: è bene per noi (vedere) come quel che di più alto possiamo avere della maestà del Signore, è ben poca cosa paragonata alla realtà.
Lettura 5
Avendo detto il profeta: «Cercate il Signore, e siate forti, cercate sempre la sua faccia» Ps. 104,4, nessuno deve presumere d'aver trovato quello che cerca, affinché, cessando d' andare avanti, non rinunci ancora ad avvicinarsi. Fra tutte le opere di Dio, che l'ammirazione umana si sforza di contemplare, qual altra tocca tanto l'anima nostra, e sorpassa la portata della nostra intelligenza, quanto la passione del Salvatore? Il quale per sciogliere il genere umano dai lacci d'una mortifera prevaricazione, occultò la potenza della sua maestà al diavolo che incrudeliva, e non gli mostrò che l'infermità della nostra bassezza umana. Perché se questo crudele e superbo nemico avesse potuto conoscere il disegno della misericordia di Dio, avrebbe cercato piuttosto di addolcire gli animi dei Giudei, che accenderli d'un odio ingiusto, per non perdere, perseguitando la libertà di chi non gli doveva niente, i suoi diritti su tutti quelli che (per il peccato) erano diventati suoi schiavi.
Lettura 6
Il diavolo fu dunque ingannato dalla sua malignità, fece soffrire al Figlio di Dio un supplizio ch'è divenuto il rimedio di tutti i figli degli uomini. Sparse il sangue innocente che doveva essere il prezzo della riconciliazione del mondo, e la (nostra) bevanda. Il Signore soffrì (il genere di morte) che s'era scelto, conforme al disegno della sua volontà. Permise a dei furiosi che mettessero su di lui l'empie lor mani: le quali, nel compiere un crimine enorme, han servito all'esecuzione dei disegni del Redentore. La tenerezza del suo amore era sì grande anche verso i suoi uccisori, che supplicando il Padre dalla croce, gli domandò non di vendicarlo, ma di perdonar loro.
III NOTTURNO
Lettura 7
Lettura del santo Vangelo secondo Matteo
Matt 21:1-9
In quell'occasione: Come Gesù fu vicino a Gerusalemme, e arrivato a Betfage, presso il monte Oliveto, allora mandò due discepoli, dicendo loro. Eccetera.
Omelia di sant'Ambrogio Vescovo
Libr. 9 su Luca
È da notare che il Signore, abbandonati i Giudei, sale al tempio, egli che doveva abitare nei cuori dei Gentili. Perché il vero tempio è quello ove il Signore è adorato, non secondo la lettera, ma in ispirito. Il tempio di Dio è quello, che s'è stabilito non su una struttura di pietre, ma sulla connessione delle verità della fede. Egli abbandona dunque quelli che l'odiano: e sceglie quelli che devono amarlo. Perciò andò al monte Oliveto, per piantare colla sua divina virtù queste giovani piante d'olivo che hanno per madre la celeste Gerusalemme. Su questo monte egli stesso è il celeste agricoltore: così che tutti quelli che sono piantati nella casa di Dio, possano dire, ciascuno: «Ma io son come un olivo fruttifero nella casa del Signore» Ps. 51,8.
Lettura 8
E forse Cristo stesso è ancora questo monte. Chi altri infatti (fuori di lui) produrrebbe tale raccolto d'olive, non di quelle che si piegano sotto l'abbondanza dei loro frutti, ma di quelle (che mostrano la loro fecondità comunicando) ai Gentili la pienezza dello Spirito Santo? Esso è colui per cui ascendiamo, ed a cui ascendiamo. Esso è la porta, esso è la via; (la porta) che si apre, ed è lui che l'apre: a cui picchiano quelli che vogliono entrare, ed è lui che adorano quelli che hanno meritato d'entrare. Egli era dunque in un villaggio, e c'era un asinello legato con un'asina: il quale non poteva essere sciolto che per ordine del Signore. La mano d'un Apostolo lo scioglie. Tali sono le azioni, tale è la vita, tale la grazia. Sii tale anche tu, onde possa sciogliere quelli che sono legati.
Lettura 9
Consideriamo ora chi sono quelli che, dopo essere stati convinti di peccato, furono cacciati dal paradiso, e relegati in un villaggio. Ed osserva in qual maniera la vita richiama quelli che la morte aveva esiliati. Leggiamo in Matteo, ch'egli ordinò si sciogliesse un'asina e il suo puledro: affinché come l'uno e l'altro sesso era sta espulso dal paradiso) nella persona dei nostri progenitori, così mostrasse col simbolo dei due animali ch'egli veniva a richiamare i due sessi. L'asina dunque figurava Eva colpevole: e il puledro designava la generalità del popolo Gentile: e perciò egli siede sul puledro dell'asina. Giustamente è detto che nessuno l'aveva ancora cavalcato: perché nessuno, prima di Cristo, aveva chiamato i popoli della gentilità ad entrare nella Chiesa. In Marco difatti si ha: «Su cui ancora non è montato alcuno» (Marc.11,2).
Ad Primam: il Martirologio del 29 Marzo 2021.
Quarto Kalendas Aprilis, luna decima quinta.
Qui invece, nel file degli Uffici della Settimana Santa e dell'Ottava di Pasqua si trova il testo della Messa insieme alle melodie gregoriane delle parti cantate (secondo la numerazione delle pagine del file, non quella stampata sulle pagine scannerizzate) da pag. 23 a pag. 83:
Ricordo che sul sito https://www.pre1955holyweek.com/ricorse-liturgiche si possono scaricare inoltre il Cantus Passionis, il Messale, il Memoriale Rituum e il manuale di liturgia del P. Baldeschi (a dire il vero il link al Baldeschi non funziona, ho provato a contattare i gestori del sito, spero che provvedano).
Dall'Anno Liturgico di Dom Guéranger
DOMENICA DELLE PALME
Nota: non mi è stato possibile trovare online un'edizione italiana dell'Anno Liturgico che sia anteriore al 1955, anno in cui il calendario e soprattutto la Settimana Santa sono stati corrotti dalle funeste e sulfuree invenzioni del frammassone Annibale Bugnini. Ho provato, senza apportare modifiche al testo, ad eliminare i riferimenti alla liturgia riformata lasciando solo ciò che può riferirsi anche a quella tradizionale.
La partenza da Betania.
Di primo mattino, Gesù lascia a Betania Maria sua madre, le due sorelle Marta e Maria Maddalena, con Lazzaro, e si dirige a Gerusalemme in compagnia dei discepoli. Trema la Vergine, nel vedere così il Figlio avvicinarsi ai suoi nemici, che bramano versare il suo sangue; però oggi, Gesù, non va incontro alla morte a Gerusalemme, ma al trionfo. Bisogna che il Messia, prima d’essere sospeso alla croce, sia, in Gerusalemme, proclamato Re dal popolo; e che di fronte alle aquile romane, sotto gli occhi dei Pontefici e dei Farisei rimasti muti per la rabbia e lo stupore, la voce dei fanciulli, mescolandosi con le acclamazioni della cittadinanza, faccia echeggiare la lode al Figlio di David.
Avveramento della Profezia.
Il profeta Zaccaria aveva predetta l’ovazione preparata dalla eternità al Figlio dell’uomo, alla vigilia delle sue umiliazioni: “Esulta grandemente, o figlia di Sion, giubila, o figlia di Gerusalemme; ecco viene a te il tuo Re, il Giusto, il Salvatore: egli è povero, e cavalca un’asina e un asinello” (Zc 9,9). Vedendo Gesù ch’era venuta l’ora del compimento di questo oracolo, prende in disparte due discepoli, e comanda loro di portargli un’asina ed un puledro d’asina che troveranno poco lontano di lì. Mentre il Signore giungeva a Betfage, sul monte degli Olivi, i due discepoli s’affrettano ad eseguire la commissione del loro Maestro.
I due popoli.
I santi Padri ci han data la chiave del mistero di questi due animali. L’asina figura il popolo giudeo sottoposto al giogo della Legge; “il puledro sul quale, dice il Vangelo, nessuno è ancora montato” (Mc 11,2), rappresenta la gentilità, non domata da nessuno fino allora. La sorte di questi due popoli sarà decisa da qui a pochi giorni: il popolo giudaico, per aver respinto il Messia, sarà abbandonato a se stesso e in suo luogo Dio adotterà le nazioni che, da selvagge che erano, diventeranno docili e fedeli.
Il corteo del trionfo.
I discepoli stendono i mantelli sull’asinello; allora Gesù, perché fosse adempita la figura profetica, monta su quell’animale (ivi 11,7) e s’accinge così ad entrare nella città. Nel contempo si sparge la voce in Gerusalemme che arriva Gesù. Mossa dallo Spirito divino, la moltitudine dei Giudei, convenuta d’ogni parte nella santa città per celebrare la festa di Pasqua, esce ad incontrarlo, agitando palme e riempiendo l’aria di evviva. Il corteo che accompagnava Gesù da Betania si confonde si confonde con quella folla trasportata dall’entusiasmo: ed alcuni stendono i loro mantelli sulla terra che Gesù dovrà calcare, altri gettano ramoscelli di palme al suo passaggio. Echeggia un grido: Osanna! E la grande nuova per la città è, che Gesù, figlio di David, vi sta facendo il suo ingresso come Re.
Regalità del Messia.
In tal modo Dio, con la potenza che ha sui cuori, approntò un trionfo al Figliol suo in questa città, che di lì a poco doveva a gran voce reclamare il suo sangue. Questo giorno fu un momento di gloria per Gesù; e la santa Chiesa vuole che tutti gli anni noi rinnoviamo tale trionfo dell’Uomo-Dio. Al tempo della nascita dell’Emmanuele, vedemmo arrivare i Magi dal lontano Oriente e cercare e chiedere, in Gerusalemme, del Re dei Giudei per offrirgli i loro doni; oggi è la stessa Gerusalemme che si muove al suo incontro. Questi due fatti sono in rapporto ad un unico fine: riconoscere la regalità di Gesù Cristo: il primo da parte dei Gentili, il secondo da parte dei Giudei. Mancava che il Figlio di Dio, prima di soffrire la Passione, ricevesse l’uno e l’altro omaggio insieme: e l’iscrizione che presto Pilato farà collocare sul capo del Redentore, Gesù Nazareno, Re dei Giudei, esprimerà il carattere indispensabile del Messia. Invano i nemici di Gesù si sforzeranno in tutti i modi di far cambiare i termini di quella scritta; non ci riusciranno. “Quel che ho scritto ho scritto”, risponderà il governatore romano, che, senza saperlo, di sua mano dichiarò l’adempimento delle Profezie. Oggi Israele proclama Gesù suo Re; domani Israele sarà disperso in punizione del suo rinnegamento; ma Gesù da lui oggi proclamato Re, tale rimane nei secoli. Così s’adempiva esattamente l’oracolo dell’Angelo che parlò a Maria, annunciandole le grandezze del figlio che doveva nascere da lei: “Il Signore Dio gli darà il trono di David suo padre, e regnerà in eterno sulla casa di Giacobbe” (Lc 1,32-33). Oggi comincia Gesù il suo regno sulla terra; e se il primo Israele non tarderà a sottrarsi al suo scettro, un nuovo Israele, sorto dalla porzione fedele dell’antico, e formato da tutti i popoli della terra, offrirà a Cristo un impero più vasto, che mai conquistatore sognò.
Tale è il mistero glorioso di questo giorno, in mezzo alla tristezza della Settimana dei dolori. La santa Chiesa oggi vuole che siano sollevati i nostri cuori da un momento di allegrezza, e che salutiamo Gesù nostro Re. Ella ha perciò disposto il sevizio divino di questa giornata, in modo da esprimere insieme la gioia, unendosi agli evviva che risuonarono nella città di David; la tristezza, tornando subito a gemere sui dolori del suo Sposo divino. Tutta la funzione è suddivisa come in tre atti distinti, di cui successivamente spiegheremo i misteri e le intenzioni.
La benedizione delle palme.
La benedizione delle palme, o dei rami, è il primo atto che si svolge sotto i nostri occhi; e se ne può giudicare l’importanza dalla solennità di cui fa pompa la Chiesa. Si disse per tanto tempo, che il Sacrificio veniva offerto con l’unico intento di celebrare l’anniversario dell’ingresso di Gesù in Gerusalemme. L’Introito, la Colletta, l’Epistola, il Graduale, il Vangelo e lo stesso Prefazio si succedevano come a preparare l’immolazione dell’Agnello senza macchia; ma arrivati al triplice: Sanctus! Sanctus! Sanctus! la Chiesa sospendeva queste formule solenni, e per mezzo dei suo ministro procedeva alla santificazione dei rami che sono lì accanto. […]
Antichità del rito.
È superfluo spiegare al lettore, che le palme ed i ramoscelli di olivo che ricevono in questo momento la benedizione della Chiesa, stanno a ricordare quelle con le quali il popolo di Gerusalemme onorò l’entrata trionfale del Salvatore; ma è opportuno aggiungere qualche parola sull’antichità di questa tradizione. Essa cominciò presto in Oriente, probabilmente dalla pace della Chiesa a Gerusalemme. Nel IV secolo san Cirillo, vescovo di questa città, pensava che ancora esistesse nella valle del Cedron il palmizio che fornì i rami al popolo che andò incontro a Gesù (Catechesi, x); quindi, niente di più naturale che prendere da ciò occasione per istituire una commemorazione anniversaria di questo avvenimento. Nel secolo seguente si vede questa cerimonia, non solo fissata nelle chiese d’Oriente, ma anche nei monasteri, di cui erano popolate le solitudini dell’Egitto e della Siria. Arrivata la Quaresima, molti santi monaci ottenevano il permesso dal loro abate d’internarsi nel deserto, per passare questo tempo in un profondo ritiro; ma dovevano rientrare al monastero per la Domenica delle Palme, come sappiamo dalla vita di sant’Eutimio, scritta dal suo discepolo Cirillo. In Occidente, questo rito non si stabilì così presto; la prima traccia la riscontriamo nel Sacramentarlo di san Gregorio: il che equivale alla fine del VI secolo, od all’inizio del VII. Man mano che la fede si propagava verso il Nord, non era più possibile solennizzare tale cerimonia in tutta la sua integrità, poiché in quei climi non crescevano né palmizi né oliveti. Fu giocoforza sostituirli con rami d’altri alberi; però la Chiesa non permise di cambiare nulla delle orazioni che erano prescritte nella benedizione di questi rami, perché i misteri che si espongono in queste belle preghiere si fondano sull’olivo e sulla palma del racconto evangelico, figurati dai nostri rami di bossolo o di lauro.
La processione.
Il secondo rito di questa giornata è la celebre processione che segue alla benedizione delle palme. Essa ha lo scopo di rappresentare al vivo l’avvicinarsi del Salvatore a Gerusalemme ed il suo ingresso in quella città; appunto perché nulla manchi all’imitazione del fatto descritto nel santo Vangelo, le palme benedette vengono portate da tutti quelli che prendono parte a detta processione. Presso i Giudei, tenere in mano dei rami d’albero significava allegria; e la legge divina sanzionava loro quest’uso. Dio aveva detto nel libro del Levitino, stabilendo la festa dei Tabernacoli: “Nel primo giorno prenderete i frutti dell’albero più bello, dei rami di palma e dell’albero più frondoso, dei salici del torrente, e vi rallegrerete dinanzi al Signore Dio vostro” (Lv 23,40). Fu dunque con l’intenzione di manifestare l’entusiasmo per l’arrivo di Gesù fra le loro mura, che gli abitanti di Gerusalemme, compresi i bambini, ricorsero a tale gioiosa dimostrazione. Andiamo incontro anche noi al nostro Re, e cantiamo Osanna al vincitore della morte ed al liberatore del suo popolo.
Nel Medio Evo, in molte chiese, si portava in processione il libro dei santi Vangeli, che per le parole che contengono rappresentano Gesù Cristo. A un punto stabilito e preparato per una stazione, la processione si fermava: allora il diacono apriva il sacro libro e cantava il passo ov’è narrato l’ingresso di Gesù in Gerusalemme. Quindi si scopriva la croce, fino allora rimasta velata; e tutto il clero veniva a prostrarsi solennemente in adorazione, depositando ciascuno ai suoi piedi un frammento di ramoscello che teneva in mano. Poi la processione ripartiva preceduta dalla croce, che rimaneva senza velo, fino a che il corteo non fosse rientrato in chiesa.
In Inghilterra e in Normandia, nell’XI secolo, si praticava un rito che rappresentava ancora più al vivo la scena di questo giorno a Gerusalemme. Alla processione veniva portata in trionfo la santa Eucaristia. Difatti a quest’epoca era scoppiata l’eresia di Berengario contro la presenza reale di Gesù Cristo nell’Eucaristia; ed un tale trionfo della sacra Ostia doveva essere un lontano preludio dell’istituzione della Festa e della Processione del Ss. Sacramento.
A Gerusalemme, nella Processione delle Palme, si pratica anche un’altra usanza, sempre allo scopo di rinnovare la scena evangelica. L’intera comunità dei Francescani, che sta alla custodia dei luoghi sacri, si reca di mattina a Betfage, ove il Padre Guardiano di Terra Santa, in abiti pontificali, monta un asinello adorno di vestiti e, accompagnato dai religiosi e dai cattolici di Gerusalemme, tenendosi tutti in mano la palma, fa l’ingresso nella città e smonta alla porta della chiesa del Santo sepolcro, dove si celebra la Messa con la maggiore solennità.
Abbiamo qui riuniti, secondo il nostro costume, i differenti fatti che possono servire ad elevare il pensiero dei fedeli ai diversi misteri della Liturgia. Queste manifestazioni di fede li aiuteranno a comprendere come nella Processione delle Palme, la Chiesa intenda onorare Gesù Cristo, presente al trionfo che oggi gli tributa. Cerchiamo dunque con amore “quest’umile e mite Salvatore che viene a visitare la figlia di Sion”, come dice il Profeta. Egli è qui in mezzo a noi: a lui s’indirizzi l’omaggio delle nostre palme, insieme a quello dei nostri cuori; egli viene a noi per diventare nostro Re: accogliamolo anche noi, dicendo: Osanna al figlio di David!
L’entrata in chiesa.
La fine della processione si distingue per una cerimonia improntata al più alto e profondo simbolismo. Al momento di rientrare in chiesa, il corteo trova le porte serrate. S’arresta la marcia trionfale; ma non vengono sospesi i canti di gioia; un lieto ritornello risuona nell’inno speciale a Cristo Re, fino a che il Suddiacono batte con l’asta della croce la porta; questa s’apre, e la folla, preceduta dal clero, rientra in chiesa, glorificando colui che, solo, è la Risurrezione e la Vita.
Questa scena sta ad indicare l’entrata del Salvatore in un’altra Gerusalemme, di cui quella della terra è soltanto la figura. Quest’altra Gerusalemme è la patria celeste, di cui Gesù ci ha aperte le porte. Il peccato del primo uomo le aveva chiuse; ma Gesù il Re della Gloria, ce le ha riaperte in virtù della Croce, alla quale non hanno potuto resistere. Continuiamo pertanto a seguire i passi del Figlio di David; egli è pure Figlio di Dio e ci invita a partecipare al suo regno.
Nella Processione delle Palme, commemorazione dell’avvenimento realizzatosi in questo giorno, la santa Chiesa solleva la nostra mente al mistero dell’Ascensione col quale termina, in cielo, la missione del Figlio di Dio sulla terra. Ma, ahimé, i giorni che separano l’uno dall’altro questi due trionfi del Figlio di Dio, non sono sempre giorni di gioia; infatti, è appena terminata la processione con la quale la Chiesa s’è liberata per un attimo della sua tristezza, che già iniziano i gemiti e i lamenti.
La Messa.
La terza parte della funzione odierna è l’offerta del santo Sacrificio. Tutti i canti che l’accompagnano esprimono desolazione e per completare la tristezza che è caratteristica della giornata, la Chiesa ci fa leggere il racconto della Passione del Redentore. Da cinque o sei secoli fa, la Chiesa ha adottato un particolare recitativo per la lettura di questo brano evangelico, che diventa così un vero dramma. Si sente prima lo storico raccontare quei fatti in tono grave e patetico; le parole di Gesù hanno un accento nobile e dolce, che contrastano in una maniera penetrante col tono elevato degli altri interlocutori e coi gridi della plebaglia giudaica.
Nel momento in cui, nel suo amore per noi, si lascia calpestare sotto i piedi dei peccatori, noi dobbiamo proclamarlo più solennemente nostro Dio e nostro Re.
Questi sono in genere i riti della grande giornata. Non ci rimane che inserire nel corso delle sacre letture, secondo il solito, quei dettagli che crederemo necessari per completare il significato.
Nomi dati a questa Domenica.
Oltre al nome liturgico e popolare di Domenica delle Palme, essa è chiamata anche Domenica dell’Osanna, per il grido di trionfo col quale i Giudei salutarono l’arrivo di Gesù. Anticamente i nostri padri la chiamarono Domenica della Pasqua fiorita, perché la Pasqua dalla quale ci separano solo otto giorni, oggi si considera in fiore, e i fedeli possono, fin da oggi, adempiere il dovere della comunione annuale. Per il ricordo di tale denominazione gli Spagnoli, avendo scoperta, la Domenica delle Palme del 1513, quella vasta regione che confina col Messico, la chiamarono Florida. Questa domenica la troviamo chiamata anche Capitilavium, cioè lava-testa, perché nei secoli della media antichità, quando si rinviava al Sabato Santo il battesimo dei bambini nati nei mesi precedenti, che potevano aspettare questo tempo senza pericolo, i genitori lavavano oggi il capo dei loro neonati, affinché il prossimo sabato si potesse fare con decenza l’unzione del Sacro Crisma. In epoca più remota tale Domenica, in certe chiese, veniva chiamata la Pasqua dei Competenti, cioè dei Catecumeni ammessi al santo battesimo. Questi si riunivano oggi in chiesa, e si faceva loro una spiegazione particolare del Simbolo che avevano ricevuto nello scrutinio precedente. Nella chiesa gotica di Spagna lo si dava solo oggi. Infine, presso i Greci, tale Domenica è designata col nome di Bifora, cioè Porta Palme.
M E S S A
La Stazione è a Roma, nella Basilica Lateranense, la chiesa Madre e Matrice di tutte le chiese. Ai nostri giorni, però, la funzione papale ha luogo a S. Pietro; ma tale deroga non arreca pregiudizio ai diritti dell’Arcibasilica la quale, anticamente, aveva oggi l’onore della presenza del Sommo Pontefice, ed ha tuttora conservate le indulgenze accordate a quelli che oggi la visitano.
EPISTOLA (Fil 2,5-11) – Fratelli: abbiate in voi gli stessi sentimenti di Cristo Gesù, il quale, esistendo nella forma di Dio, non considerò questa sua uguaglianza con Dio come una rapina, ma annichilò se stesso, prendendo la forma di servo, e, divenendo simile agli uomini, apparve come semplice uomo; umiliò se stesso fattosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce. Per questo però anche Dio lo esaltò e gli donò un nome, che è sopra ogni altro nome, tale che nel nome di Gesù si deve piegare ogni ginocchio in cielo, in terra e nell’inferno, ed ogni lingua deve confessare che il Signore Gesù Cristo è nella gloria di Dio Padre.
Umiliazione e gloria di Gesù.
La santa Chiesa prescrive di genuflettere al punto dell’Epistola dove l’Apostolo dice, che ogni ginocchio si deve piegare nel pronunciare il nome di Gesù; e noi ne abbiamo seguito il comando. Dobbiamo comprendere che, se vi è un’epoca dell’anno in cui il Figlio di Dio ha diritto alle nostre più profonde adorazioni è soprattutto in questa Settimana, nella quale è lesa la sua maestà, e lo vediamo calpestato sotto i piedi dei peccatori. Indubbiamente i nostri cuori saranno animati da tenerezza e compassione alla vista dei dolori che sopporta per noi; ma non meno sensibilmente dobbiamo risentire gli oltraggi e le bassezze di cui è fatto segno, lui che è uguale al Padre e Dio come lui. Con le nostre umiliazioni, rendiamo a lui, per quanto ci è possibile, la gloria di cui egli si sveste per riparare la nostra superbia e le nostre ribellioni; ed uniamoci ai santi Angeli che, testimoni di tutto ciò che Gesù ha accettato per il suo amore verso l’uomo, s’annientano più profondamente, nel vedere l’ignominia alla quale è ridotto.
Ma è ormai tempo d’ascoltare il racconto della Passione del Signore. La Chiesa ne legge la narrazione secondo i quattro Vangeli, nei quattro differenti giorni della Settimana. Oggi comincia col racconto di san Matteo, che per primo scrisse i fatti della vita e della morte del Redentore.
Le lacrime di Gesù.
Terminiamo questa giornata del Redentore a Gerusalemme, richiamando alla memoria gli altri fatti che la segnalarono. San Luca c’informa, che fu durante la sua marcia trionfale verso questa città che Gesù, vicino ad entrarvi, pianse su di lei e manifestò il suo dolore con queste parole: “Oh se conoscessi anche tu, e proprio in questo giorno quel che giova alla tua pace! Ora invece è celato agli occhi tuoi. Ché verranno per te i giorni nei quali i nemici ti stringeranno con trincee, ti chiuderanno e ti assedieranno d’ogni parte, e distruggeranno te e i tuoi figli che sono in te, e non lasceranno in te pietra su pietra, perché non hai conosciuto il tempo in cui sei stata visitata” (Lc 19,42-44).
Qualche giorno fa il santo Vangelo ci mostrò Gesù che piangeva sulla tomba di Lazzaro; oggi lo vediamo spargere nuove lacrime sopra Gerusalemme. A Betania piangeva pensando alla morte del corpo, conseguenza e castigo del peccato; ma questa morte non è senza rimedio. Gesù è “la risurrezione e la vita; chi crede in lui non rimarrà nella morte eterna” (Gv 11,25). Ma lo stato dell’infedele Gerusalemme rappresenta la morte dell’anima; ed una tale morte è senza risurrezione, se l’anima non ritorna tempestivamente all’autore della vita. Ecco perché sono tanto amare le lacrime che sparge oggi Gesù. Il suo cuore è triste, proprio in mezzo alle acclamazioni che fanno accoglienza al suo ingresso nella città di David: perché sa, che molti “non conosceranno il tempo che furono visitati”. Consoliamo il cuore del Redentore, e siamogli una Gerusalemme fedele.
Gesù torna a Betania.
Sappiamo da san Matteo che il Signore andò a chiudere la giornata a Betania. Naturalmente la sua presenza dovette sospendere le materne inquietudini di Maria e tranquillizzare la famiglia di Lazzaro. Ma in Gerusalemme nessuno si presentò ad offrire ospitalità a Gesù; almeno il Vangelo non fa alcuna menzione a questo riguardo. Le anime che meditarono la vita del Signore si sono soffermate su questa considerazione: Gesù onorato la mattina con solenne trionfo, alla sera è ridotto a cercarsi il nutrimento e il riposo fuori della città che lo aveva accolto con tanti applausi. Nei monasteri dei Carmelitani della riforma di santa Teresa esiste una consuetudine che si propone d’ offrire a Gesù una riparazione, per l’abbandono in cui fu lasciato dagli abitanti di Gerusalemme. Si presenta una tavola in mezzo al refettorio e vi si serve un pasto; dopo che la comunità ha finito di cenare, quel pasto offerto al Salvatore del mondo, viene distribuito ai poveri, che sono le sue membra.
PREGHIAMO
O Dio onnipotente ed eterno, che per dare al genere umano esempio d’umiltà da imitare, hai deciso l’incarnazione del Salvatore e la sua passione in croce; concedici propizio d’imitarlo nella sofferenza per poter poi partecipare alla risurrezione.
28 MARZO SAN GIOVANNI DA CAPISTRANO, CONFESSORE
L’onore dovuto ai Santi.
Quanto più la Chiesa s’avvicina al termine della sua meta, tanto più ama arricchirsi di nuove feste, memore del detto famoso: Ricordati dei giorni antichi e considera le generazioni ad una ad una come Dio ammoniva sin dall’alleanza del Sinai (Dt 32,7); ed era legge in Giacobbe, che i padri facessero apprendere ai loro discendenti i fatti antichi (Sal 77,5). Anche gli annali della Chiesa sono pieni di manifestazioni della potenza dello Sposo; più che i discendenti di Giuda, i figli della novella Sion possono dire, meditando la serie dei secoli trascorsi: Tu stesso sei il mio Re, il mio Dio, tu che sempre fosti la salvezza di Giacobbe! (Sal 43,5).
Il pericolo musulmano.
S’era appunto completata, in Oriente, la disfatta degl’Iconoclasti, allorché si scatenava una guerra ben più tremenda nella quale lo stesso Occidente dovette impegnarsi nella lotta per la civiltà cristiana.
Come un torrente impuro, l’Islam aveva dilagato dalle sponde dell’Asia sino nel cuore della Gallia; e a palmo a palmo, per un millennio, stava per contendere a Cristo e alla sua Chiesa il suolo occupato dalle generazioni latine. Per un certo tempo, solo poterono fermarlo le spedizioni del XII e del XIII secolo, attaccandolo nel centro della sua potenza. All’infuori della terra di Spagna, dove il combattimento doveva concludersi col trionfo assoluto della Croce, abbiamo lo spettacolo dei principi che, dimentichi delle tradizioni di Carlomagno e di san Luigi, trascurano per i conflitti delle loro private ambizioni la guerra santa, così che la Mezzaluna, tornando presto a sfidare la cristianità, riprese i suoi piani di conquista universale.
Nel 1453, la capitale dell’impero d’Oriente, Bisanzio, capitolava sotto gli assalti dei giannizzeri turchi; tre anni appresso, Maometto II, suo vincitore, investiva Belgrado, bastione dell’impero d’Occidente. Sembrò che tutta quanta l’Europa dovesse mobilitarsi in soccorso di quell’assedio; infatti, superata quest’ultima diga, era la devastazione immediata dell’Ungheria, dell’Austria e dell’Italia; per tutti i popoli dell’Ovest sarebbe stato a breve scadenza la servitù di morte, l’irreparabile sterilità del suolo e delle intelligenze.
L’appello del Papato.
Ora, l’imminenza del pericolo non aveva sortito altro effetto che di accentuare le lamentevoli derisioni di parte che abbandonavano il mondo cristiano alla mercé d’alcune migliaia d’infedeli. Si sarebbe detto che l’altrui perdita costituiva per molti il compenso della propria rovina: anzi da tale rovina più d’uno sperava di ottenere una tregua o un indennizzo, fosse pure disertando il suo posto di combattimento. Fra tanti egoismi e perfidie che si tramavano nell’ombra, o si pubblicavano sfacciatamente, solo il papato non cessò di vegliare. Veramente cattolico nel pensiero, nelle fatiche e nelle angosce, come nelle gioie e nei trionfi, s’addossò interamente sulle sue spalle la causa comune tradita dai re. Lasciati da una parte i suoi appelli ai potenti, si rivolse agli umili, e più confidando nella preghiera al Dio degli eserciti che nella strategia delle battaglie, reclutò fra loro i soldati della liberazione.
Un Crociato.
Fu allora che l’eroe del giorno, Giovanni da Capistrano, già da tempo temibile all’inferno, raggiunse l’apice della gloria e della santità. Alla testa di tanti altri poveri di buona volontà, contadini, gente ignorante, arruolata da lui e dai suoi Fratelli dell’Osservanza, il povero di Cristo non disperò di trionfare dell’esercito più agguerrito e meglio comandato che si vedesse sotto il cielo da che mondo era mondo. In un primo momento, il 14 luglio 1456, rompendo la linea ottomana insieme a Giovanni Hunyade, unico dei nobili ungheresi che volle prendere parte alla sua impresa, s’era lanciato in Belgrado rifornendolo di viveri. Otto giorni dopo, il 22 luglio, non potendo più trattenersi nella difensiva, sotto gli occhi di Hunyade meravigliato dalla sua nuova strategia, lanciava sulle trincee nemiche il suo battaglione armato di fruste e di forche con l’unica consegna di gridare il nome di Gesù a tutti i venti. Era la parola d’ordine della vittoria che Giovanni da Capistrano aveva ereditato dal suo maestro, san Bernardino da Siena. Chi spera nei cocchi, chi nei cavalli, diceva il Salmista; ma noi invochiamo il nome del Signore Dio nostro (Sal 19,8). E realmente, il nome sempre santo e terribile (Sal 110,9) salvava ancora una volta il suo popolo. La sera di questo memorabile giorno ventiquattromila Turchi coprivano il suolo dei loro cadaveri: trecento cannoni, tutte le armi, e le ricchezze degl’infedeli caddero nelle mani dei cristiani; Maometto II, ferito, fuggendo precipitosamente se ne andava lontano a nascondere la propria vergogna e il disprezzo dei suoi soldati.
Il 6 agosto giunse a Roma la nuova della vittoria che ricordava quella di Gedeone su Madian (Gdt 7). Il Sommo Pontefice Callisto III stabilì d’allora che tutta la Chiesa festeggiasse quel giorno la trasfigurazione del Signore, perché non con la loro spada conquistarono il paese, né li salvò il loro braccio; ma la tua destra, la tua potenza, lo splendore del tuo volto, perché li amavi (Sal 43,4), come avvenne sul Tabor nel tuo diletto Figlio (Mt 17,5).
VITA. – Giovanni nacque a Capistrano negli Abruzzi, nel 1386. Dopo aver tenuto il governo di molte città, abbracciò la Regola di san Francesco d’Assisi, proponendosi di continuare l’opera di san Bernardino nel propagare il culto dei SS. Nomi di Gesù e di Maria. Inquisitore, poi nunzio in Germania, convertì molti Saraceni ed eretici. Divenuto poi promotore della Crociata, a lui è dovuta la vittoria di Belgrado nel 1456. Morì poco dopo a Illok e, nel 1690, Alessandro VIII lo annoverò tra i Santi.
Preghiera.
“Il Signore è teco, o fortissimo fra gli uomini! Se tu vai con la tua forza a salvare Israele e trionfi su Madian, sappi che sono io che ti ho mandato” (Gdt 6). Così l’Angelo del Signore salutava Gedeone, quando lo scelse all’alta sua funzione in mezzo ai più umili del suo popolo (ivi 15). E anche noi, a vittoria raggiunta, possiamo così salutarti, o figlio di Francesco d’Assisi, pregandoti sempre del tuo aiuto. Il nemico che vincesti sui campi di battaglia ormai non è più da temere in Occidente; mentre il pericolo purtroppo sussiste là ove lo segnalò Mosè al suo popolo dopo la liberazione, quando disse loro: Guardati dunque bene dal dimenticarti del Signore Dio tuo, affinché non ti avvenga che, dopo aver mangiato a sazietà, dopo aver edificato e abitato belle case, dopo aver avuto mandrie di buoi e greggi di pecore e abbondanza d’oro, d’argento e d’ogni cosa, il tuo cuore s’insuperbisca e dimentichi il Signore Dio tuo che ti trasse dalla terra d’Egitto e dalla schiavitù (Dt 8,11-14). Sì, in effetti, se il Turco avesse prevalso nella lotta in cui ti distinguesti eroe, dove sarebbe ora la civiltà che tanto c’inorgoglisce?
Più d’una volta, dopo di te, la Chiesa dovette di nuovo intraprendere l’opera di difesa sociale che i capi delle nazioni non capivano più. Possa almeno la riconoscenza che le è dovuta preservare i figli della Madre comune dal male dell’oblio, che è il flagello della presente generazione! E siamo anche riconoscenti al cielo del grande ricordo che per merito tuo oggi rifulge nel Calendario liturgico, memoriale della bontà del Signore e delle gesta sublimi dei Santi. Fa’ che nella guerra, per la quale ciascuno di noi diventa un campo di battaglia, il nome di Gesù non cessi mai di mettere in rotta il demonio, il mondo e la carne, e che la Croce sia il nostro stendardo e per essa, morendo a noi stessi, possiamo arrivare al trionfo della sua risurrezione.
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